CASA DI ANDREA: BAMBINI NONOSTANTE LA MALATTIA

Affrontare la malattia di un figlio è un dolore costante. La notizia ti piomba addosso, facendoti passare dalla spensieratezza all’angoscia. Futuro, programmi e prospettive sembrano arenarsi; su tutto cala l’ombra dell’incertezza, della precarietà. La quotidianità muta: gite, vacanze, passeggiate e assolati pomeriggi al parco lasciano il passo a consulti sanitari, analisi, diagnosi e terapie. Il rischio collaterale è quello dell’isolamento sociale, un danno nel danno che acuisce gli effetti della patologia. Perché un bambino malato non ha solo bisogno di guarire ma anche il diritto a vivere la propria infanzia pienamente, nonostante le difficoltà che la sua condizione comporta. Esigenze che il genitore avverte ma a cui, spesso, non riesce a dare risposta: barcamenarsi tra ospedali, lavoro e altre esigenze familiari – pensiamo a chi di figli ne ha più di uno – è complicato. Se poi si abita fuori città o comunque lontano dai pochi centri che effettuano le terapie prescritte dai pediatri il quadro diventa ancora più grigio.
Decine di famiglie in Italia vivono questa condizione. Per sostenerle il mondo del volontariato ha creato numerose realtà. Come l’associazione “Andrea Tudisco che dal 1997 offre una casa e una struttura d’accoglienza ai tanti nuclei che senza un punto d’appoggio dovrebbero recarsi continuamente a Roma per consentire ai propri figli di curarsi, sopportando un enorme esborso economico.
Tutto nasce dall’attivismo di Fiorella Tosoni (oggi presidente del centro), di suo marito Nicola e dalla memoria di Andrea, il loro bambino, tragicamente scomparso a soli 10 anni per una leucemia linfoblastica. Durante il periodo della malattia e della degenza i due hanno sperimentato l’importanza della solidarietà tra famiglie, cominciando a ospitare madri e padri lontani da casa e quindi costretti ad adattarsi e, spesso, a dormire su una sedia d’ospedale (o in automobile) durante il ricovero del figlio. L’esperienza di una volta è diventata consuetudine, poi prassi, infine rete. La morte di Andrea non ha spezzato la catena solidale. Fiorella e Nicola, nonostante il dolore, hanno voluto proseguire quell’esperienza, si sono riuniti in comitato insieme a un gruppo di amici e sono andati avanti. Nel 2006 il Comune di Roma ha assegnato loro una struttura abbandonata nel quartiere Aurelio, trasformata, dopo la ristrutturazione, nella “Casa di Andrea“, il cuore pulsante del centro.
In Terris ne ha parlato proprio con la presidente Fiorella Tosoni.
A chi è rivolto il vostro progetto?
“Alle famiglie con bambini affetti da gravi patologie che per curare i propri figli sono costretti a lasciare le proprie case e che quindi hanno necessità di accoglienza ed ospitalità. E al bambino malato e/o ospedalizzato in generale”.

Tra gli accolti ci sono anche malati terminali?
“Sì certamente. Siamo di sostegno e di supporto anche quando, per fortuna sempre più raramente, succede che uno dei nostri bambini non riesca a guarire”.

Quali sono le patologie più comuni tra i vostri piccoli ospiti?
“Tumori, malformazioni genetiche e cardiologiche”

Come si accompagna un minore attraverso la malattia?
“Facendolo vivere il più possibile in una quotidianità fatta di gioco, studio, creatività e divertimento”.

E i genitori verso la possibile perdita di un figlio?
“Rispettando il dolore, la rabbia, mostrando empatia e capacità di ascolto”

C’è una diversa consapevolezza su quanto sta accadendo tra piccoli pazienti e genitori. Per cui da una parte ci sono bambini a cui far vivere la propria infanzia sia pur in condizioni di difficoltà, dall’altra genitori che affrontano questo dramma in modo più profondo e cosciente. Come si gestisce questa situazione?
“Dedicando momenti e spazi diversi agli uni e agli altri”

Quali sono le terapie di supporto psicologico che funzionano meglio in questi casi?
“Non ce n’è una preferenziale. Ogni terapeuta utilizza quella che padroneggia meglio e che più si adatta al singolo caso”.

Su quali fonti di finanziamento potete contare per sostenere la vostra attività? Potete contare sull’appoggio delle istituzioni?
“Purtroppo per le nostre attività principali (gestione di case d’accoglienza e clownterapia) non ci sono finanziamenti pubblici. Ci sostengono aziende, fondazioni, scuole, personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport e persone che credono in quello che facciamo”.

Quali sono i prossimi progetti?
“Ampliare l’offerta di accoglienza poiché la domanda è in aumento. Attivare il servizio di clownterapia in sempre più reparti pediatrici ma anche in centri per soggetti fragili. Avviare un servizio di accompagno al rientro a casa per i bambini e le famiglie che sono state nostre ospiti affinché non si inneschino dinamiche negative e non nascano futuri problemi psicologici”.

Oggi l’associazione “Andrea Tudsico” accoglie 12 famiglie per altrettanti minori malati, il più piccolo di 18 mesi, il più grande di 17 anni. Solitamente i pazienti vivono nella struttura insieme a un solo genitore, ma, in caso di esigenze particolari, il centro apre anche ad altri componenti del nucleo. I volontari seguono gli ospiti dalla A alla Z: svolgono laboratori e attività ludiche, li aiutano a non interrompere gli studi (l’associazione si appoggia a una vicina scuola e ha fatto richiesta per l’accesso al servizio di istruzione a domicilio) e li accompagnano in ospedale. Questo consente ai bambini di ricevere le cure in day hospital anziché durante il ricovero, con un risparmio enorme per il sistema sanitario nazionale. Nel centro, raccontano alcuni operatori, si crea un clima positivo, energico. Tanto che alcuni ex accolti, dopo la guarigione, tornano o per i giorni necessari ai controlli di rito o anche semplicemente per salutare i loro amici. Ormai consapevoli che la malattia si può vincere anche grazie all’amore incondizionato di una grande famiglia.

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