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Apriti – Lunedì IV settimana di Pasqua

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Le immagini sono di quelle che ti seducono: una relazione in cui sei conosciuto e chiamato per nome, tu con la tua storia, uno ad uno; un essere preso e guidato verso un’esperienza di vita piena. Se poi non si dimentica il contesto in cui Gesù consegna queste immagini, esse affascinano ancora di più. Aveva appena guarito un uomo cieco dalla nascita: gli aveva consentito di guardare le cose non attraverso intermediari ma di persona. E tuttavia questo aveva suscitato sdegno e riprovazione proprio da parte di coloro che più di altri avrebbero dovuto gioire di una simile opportunità. Quanta resistenza in quegli uomini del tempio chiusi nelle loro convinzioni! Quanta fatica a condurli fuori da un recinto fatto di prescrizioni e divieti che aveva finito per diventare per loro e per altri un luogo di schiavitù religiosa! Chi non accetta di lasciarsi condurre fuori resta nel recinto della paura e della morte.

Gesù disse loro questa similitudine ma essi non capirono di che cosa parlava loro…
Perché? Di cosa aveva parlato Gesù? Aveva detto di sé di essere la porta attraverso cui passare. Quale metafora quella della porta! Senza la porta non si ha accesso in un ambiente e se questo non accade si resta esclusi dalla casa, dalla vita. Se una stanza non ha una porta quel luogo diventa una prigione, una tomba. La porta ha a che fare con la vita: senza il Signore Gesù la nostra vita conosce oppressione e soffocamento.
Senza di lui la nostra esistenza non attende più nulla, diventa ermetica, non può aprirsi ad alcuna speranza.
Senza la porta che è il Signore Gesù la vita registra soltanto desideri frustrati perché irrealizzabili.
Senza la porta si è sempre esposti alla possibilità di assalti dall’esterno: gli affetti e le cose più care sono sempre in balìa di qualcuno che possa strapparceli via.
Senza la porta che è il Signore Gesù non abbiamo altra via per giungere a quella pienezza di vita cui tutti aneliamo. È vero. Non poche volte ci sembra di aver trovato altre possibilità ma altrettante volte abbiamo misurato con mano la loro fallacia e la loro inconsistenza.
Ora, questa porta è da aprire. È una soglia da attraversare se non vogliamo precluderci la possibilità di una esperienza di comunione con il Padre. Non temere di aprire la porta del tuo cuore!
Di cos’altro aveva parlato Gesù? Aveva detto che egli passa attraverso la porta. Nessuna forzatura e nessuna violenza: solo il continuare a bussare perché finalmente gli si apra. E talvolta bussa per un’intera esistenza. Quando gli si apre egli passa senza inganno, abitato dal solo desiderio di consegnarti la sua vita, non di rubare la tua. Se lo lasci entrare non ti ritrovi un fardello pesante e difficile da portare: egli, infatti, viene a prendere su di sé tutto ciò che intralcia il tuo cammino e ti introduce in quella via che egli per primo ha percorso. Se lo lasci entrare sperimenti che non hai più bisogno di errare vagando nella dispersione. Lui, il pastore bello, si prenderà cura di te con delicatezza e attenzione e lo farà grazie all’esperienza delle sue piaghe che sono la memoria permanente del modo in cui tu sei amato. Se voglio capire quanto sono amato, infatti, devo guardare a quanto l’altro ha sofferto per me.
Non temere di aprire la tua porta! Perché questo accada è necessario riconoscere quali sono quei chiavistelli che hanno blindato la tua esistenza al punto da risultare impermeabile a ogni cenno di vita. Era quello che era accaduto a scribi e farisei. Che osservando alla lettera il precetto avevano fatto sì che la morte regnasse per sempre. Il Signore Gesù vuole entrare per prendersi cura delle tue ferite ma ciò non può accadere se non sei tu ad aprire la porta della tua vita.
Ecco, sto alla porta e busso (Ap 3,20). La possibilità di una guarigione sta nell’aprire la propria esistenza a una relazione in cui finalmente sei riconosciuto e chiamato per nome e che risani le ferite prodotte da relazioni malate.

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