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Il male si vende bene… al    mercato dei media

Circola nelle testoline di molti un’idea che ha del maniacale: pubblicare il male, strombazzarlo per attirare assensi, attenzioni e consensi elettorali. Ogni fatto o episodio finisce con titoloni sulle prime pagine dei quotidiani, nelle testate dei telegiornali e occupa  alcuni programmi televisivi in cui le opinioni non vengono scambiate tra i partecipanti, ma lanciate come strali sull’avversario. Il male
(in questo termine ci metto corna, menzogne, ricatti, furti, droga, violenze)  pubblicizzato è ormai un business sicuro: rende anche in questi momenti di crisi economica.
Già il Manzoni diceva che basta far partire una notizia (meglio un pettegolezzo)  al mattino che passa di bocca in bocca e alla sera ritorna al mittente. Si tratta di un modo per far sapere ciò che succede o per suscitare interessi in chi passa le giornate davanti al televisore o con in mano un quotidiano, rompendo così la monotonia delle giornate. Gli interessi, mi spiace, non si spigolano tra i pettegoli, sono presenti nella mente che riflette, valuta, si confronta. Sono i faciloni e i babbei che sono a caccia di notizie tendenziose da portare in ufficio, al ristorante mentre addentano la bisteccona innaffiata dal mosto che mette in circolazione emozioni, pregiudizi, rivalità.  
Sono gli sfaccendati a tifare per qualcuno e denigrare altri, a strombettare i difetti e  i vizi, quelli capitali soprattutto. Il vizio della lussuria pare sia ormai passato al primo posto, facendo retrocedere la superbia e l’invidia.  In passato i bacchettoni delle tresche sessuali furono i preti e qualche religioso seguace del Savonarola. Ora no, ora i preti e i prelati sono di manica larga, assolvono questo peccatuccio ancor prima  che sia commesso o confessato. Anche perché ci sono altri interessati a far “brillare” tra il popolo questo vizio antico e moderno.
Ma ciò che più infastidisce è far diventare chiacchiera, pettegolezzo, calunnia il male vero o presunto. Ergersi a moralisti va di moda, è un segno nuovo dei tempi. Che tempi? Quelli della ipocrisia. Se vale l’invito di Cristo di lanciare la prima pietra a chi è senza peccato, sono certo che tra i lapidatori ci sarebbero quelli che ostentano le loro presunte virtù davanti  sul piccolo schermo. Scagliare le pietre verso qualcuno serve per essere risparmiati dalle stesse.
I  trombettieri del male altrui lo proiettano sugli altri  il loro male come atto di catarsi, di liberazione.  Gi antichi ricorrevano al “capro espiatorio” cui affidare i vizi del villaggio, ora ci sono altri “capri espiatori” che, di volta in volta, vengono caricati delle colpe altrui e buttati in pasto ai famelici del popolo. L’intento è il medesimo: liberare se stessi dal male, rovesciandolo sugli altri.  Ma in passato il rito del “capro” si svolgeva nel villaggio, ora i mezzi di comunicazione lo diffondono “urbis et orbis”. 
Ci si prova gusto a soffermarsi sul “caso” che stuzzica la curiosità e qualcosa d’altro. Mi chiedo: quale messaggio ricevono i nostri ragazzi e giovani? Ve lo dico subito: i ragazzi soprattutto pensano di vivere in un mondo dove il bene non c’è, e quindi  si adeguano a sguazzare nella melma dell’utile, della passione. “Fanno tutti così”, gli dicono gli adulti; “fa quello che voi” gli consigliano i falsi maestri;  “se vuoi apparire fatti notare, trasgredisci”, è il consiglio dei media. Mai come adesso vale  il detto evangelico di non scandalizzare i piccoli e in questi “piccoli” mettiamoci un po’ tutti. Anzi, il vangelo consiglia gli amanti degli scandali di mettersi una macina da molino al collo e sprofondare in mare. Un consiglio disatteso da molti trombettieri di scandali che preferiscono mettersi al collo un simbolo di partito e sprofondare in una marea di applausi. Che delusione!

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