Integralismo religioso
La dinamica del nemico

di Gianni Epifani


Non ci sono parole di fronte agli atti di terrorismo. 
Si resta sconcerti, increduli rispetto a tanta barbarie, 
feriti umanamente nel vedere la follia allo stato puro 
che si accanisce contro chi è giudicato colpevolmente diverso.
Come credo abbiano fatto tutti, 
in questi giorni mi sono interrogato molto sulle ragioni 
di tanta assurda ferocia, ricondotta dai più
ad un’applicazione intransigente della sharia, 
l’insieme delle norme
religiose, sociali e giuridiche che trovano il loro fondamento 
nella dottrina coranica e che puniscono con la flagellazione 
o la morte i reati contro Allah e il suo profeta 
(lo è anche l’ironia? 
Come ha precisato l’Imam della moschea di Milano: 
“Maometto nella sua vita ha subito persecuzioni ben peggiori 
di qualche vignetta”).
I dibattiti e le analisi sul tema hanno sviscerato 
abbondantemente
i termini della questione. 
Si è chiarito che gli attentati sono il frutto di interpretazioni 
fondamentaliste del testo sacro all’Islam, 
che il profeta Maometto – oltre 1.400 anni fa – 
ha incoraggiato la pacifica convivenza con gli ebrei e i cristiani; 
che la gran parte dei mussulmani prende le distanze da queste azioni,
che i fatti di Parigi sarebbero riconducibili alla strategia jihadista 
di conquista culturale dell’Occidente. 
Eppure, niente di tutto ciò offre una vera risposta alla domanda
che ci tormenta: perché? 
Qual è la ragione profonda che sta dietro gli episodi dell’11 settembre 
o dell’8 gennaio e dietro qualunque guerra, religiosa e non?
Una possibile risposta mi è parso di trovarla 
nel saggio di Umberto Eco: Costruire il nemico. 
La creazione della propria identità, individuale o di gruppo, 
passa necessariamente attraverso l’individuazione 
di tutto ciò che è diverso da sé.
Il diverso (per etnia, religione, orientamento culturale…) spaventa,
quindi viene emarginato o – nei casi più estremi – 
combattuto con la violenza; comunque diventa un nemico. 
Avere un nemico è dunque un modo “per procurarci un ostacolo 
rispetto al quale misurare
il nostro sistema di valori e' mostrare, nell’affrontarlo,
il valore nostro”. 
“Pare – continua Eco – che del nemico non si possa fare a meno”. 
“Pertanto quando […] non ci sia, occorre costruirlo”, 
in modo che susciti “paura e ripugnanza”. 
Spesso, aggiunge, “vengono costruiti come nemici 
non tanto i diversi che ci minacciano direttamente,
bensì coloro che qualcuno ha interesse a rappresentare 
come minacciosi”. 
Può essere il migrante, il rom, il senzatetto 
come la persona di religione diversa.
La dinamica del nemico coinvolge tutti dunque; 
solo che alle volte supera la discriminazione e l’intolleranza 
non violenta – comunque bieche – e diventa sanguinaria, 
assurgendo a pretesto per sfogare rabbia, 
assecondare la smania di affermazione
e la brama di consensi, 
puntare a rinsaldare il sentimento di unità nel gruppo 
e il proprio potere, 
cercare di definire la sfera della propria legittimità. 
E così, spiega Sartre nell’Huis clos, 
riducendo l’altro a nemico, 
ci creiamo l’inferno in terra.

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