Scusa la modestia: 
sono troppo bello per te

di don Marco Pozza


Con Mosè era stato chiaro. 
Eppure se c'era uno che meritava quella grazia era proprio lui. 
Perché svegliarsi una mattina per portare a spasso il gregge 
e scoprirsi nel mirino di Dio, 
non è mai cosa dalle dolci faccende; 
nemmeno sapersi fragili di lingua e vedersi al cospetto del faraone 
a convincerlo che Israele deve partire. 
Men che meno, appena al di là del Mare, 
sentirsi costretti per quarant'anni a manovrare un popolo 
che sognava le vecchie pentole di cipolle d'Egitto 
e cercare di metterlo nelle frequenze di un Dio 
che parlava di una terra dove, al posto di pentole e cipolle, 
ci stava il latte e il miele che scorreva a fiumi. 
E lui, uno dei migliori pastori di greggi, 
sempre ficcato là: 
a metà strada tra un Dio tutto santo 
e un popolo dagli ormoni agitati. 
Sapendo poi dove lo saluteremo – 
ad un passo dalla Terra Promessa: 
la vedrà (se la gusterà con lo sguardo) ma non ci entrerà 
-, quella richiesta sapeva di fanciullità, 
di onesta voglia di vederlo questo Amore 
che gli aveva scompigliato i suoi viaggi di pastore: 
«Mostrami la tua gloria!» (Es 33,18). 
Ti prego, mostrami che faccia hai: ti voglio vedere, 
Dio dei miei padri. 
E Lui, il Dio inafferrabile, ancora una volta a non concedersi. 
«Ma tu non potrai vedere il mio volto, 
perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». 
Viva la modestia del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe: 
“Sono troppo bello, Mosè. 
Scusa, ma se mi vieni, svieni”. 
Unica concessione, anche Dio s'intenerì 
per quel dolce richiamo del cuore: 
«Ecco un luogo vicino a me. 
Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia gloria, 
io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, 
finché non sarò passato. 
Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, 
ma il mio volto non si può vedere». (Es 33,18-23) 
Il volto no, Mosè: è questione di sicurezza. 
Le spalle sì, lo meriti. 
Siediti lì, io passo e ti copro il viso: 
poi guardami. 
Sono il tuo Dio. “Dio brutto e cattivo: 
non si tratta così Mosè, povero cristo di pastore”.
Sopratutto se quello che non fu concesso 
a quell'uomo martoriato, 
lo si concederà un giorno ad un pescatore. 
Perchè così Dio volle: 
ai pastori le spalle, ai pescatori il volto. 
Parola di Marco, uno dei quattro che hanno scritto: 
«Fu trasfigurato davanti a loro 
e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime» 
(liturgia della II^ domenica di Quaresima). 
Mica i più santi: li ha scelti di cuore e di petto, 
tre a nome di tutti. 
Anche a nome di Mosè. 
Li ha menati su per il monte e ha fatto loro una confidenza: 
sé fatto d’una bellezza inconsueta, 
si è trasforma tutto in un’armonia, sorride come mai prima. 
Tre uomini, non dodici, 
devono ricevere quell’anticipazione del Regno, 
devono sapere come Lui è davvero. 
Perché non è uguale come tutti gli altri giorni. 
Per un istante vuole deporre la sua camuffatura d’uomo, 
collaudare se – gettata la maschera e vestitosi di sole e di neve – 
la loro amicizia resiste o si traduce in paura. 
Resiste? 
Così e così: 
«Rabbì, è bello per noi essere qui; 
facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 
Grande Marco, chissà Pietro se sarà stato contento 
di quell'annotazione. Però c'è, e rimane: 
«Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati». 
Spaventati per troppa bellezza: 
glielo aveva detto a Mosè, 
anche quella volta sulla cima di un Monte. 
Non fu vigliaccheria d'amante, 
fu delicatezza d'Amore: 
non voglio spaventi, 
voglio sguardi. 
Sul monte sta anche lui, il vecchio Lucifero, 
lì appena dietro Pietro: “Bloccalo, bloccati qui, bloccatevi”. 
Il Demonio lo sa che l'uomo è fatto per gli incanti: 
fermarsi dove è felice, 
dimenticare giù nel caos della valle le tribolazioni 
e il destino degli altri che non sono stati prescelti, 
nascondersi in quella miseria 
dove il cielo sembra carezza la terra.

La Trasfigurazione è un avvenimento di preghiera; 
diventa visibile ciò che accade nel dialogo di Gesù con il Padre: 
l'intima compenetrazione del suo essere con Dio, 
una compenetrazione che diventa pure luce (…) 
Ciò che egli è nel suo intimo 
e ciò che Pietro aveva cercato di dire nella sua confessione, 
si rende percepibile in questo momento anche ai sensi: 
l'essere di Gesù nella luce di Dio, 
il suo proprio essere luce come Figlio. 
(J. Ratzinger, Gesù di Nazareth)

Tutti a casa, invece: tutti giù nella valle. 
A raccontare, a incoraggiare, a confortare. 
A spandere giù per il crinale quella storia che sa di buono. 
Nessuno qui, 
a due passi da me: 
tutti giù, seriamente impastati di storia, di fango e di polvere. 
Tutti giù dagli altri, e in fretta pure. 
Quella confidenza non fu privilegio di pochi, 
fu una consolazione per tutti. 
Dio non mente, è bellissimo: 
«Nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche». 
Povero, vecchio diavolo...........

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