Lo specchio di Cenerentola e il lenzuolo di Gesù

di don Marco Pozza

Un fluttuare ininterrotto di gente pellegrina. 
Ore di attesa e chilometri macinati per sostare tre minuti 
a contemplare un Volto tumefatto dal dolore, 
un corpo bastonato dalle percosse, 
un Uomo sconfitto nella sua profezia. 
Perchè la Sindone è l'immagine di un racconto: 
quello del Cristo di Nazareth. 
E' anche il racconto di un'immagine: 
quello dell'umano irriso e deriso. 
Un popolo si muove per affacciarsi su quel mistero: 
è paradossale che nell'epoca della bellezza 
cercata a tutti i costi e con qualsiasi mezzo 
ci sia chi, tra costoro, 
si mette alla ricerca dell'esatto suo contrario: 
il racconto di un dolore, la scena di una passione, 
la storia di un Crocifisso. 
Paradosso o ambizione?
Paradosso e ambizione al medesimo istante, 
dal momento che quel Volto è l'immagine per antonomasia 
della storia più ambiziosa e paradossale 
mai prima e poi raccontata: quella cristiana. 
Che racconta di un Dio capovolto: 
non più l'uomo che muore per Dio 
ma un Dio che muore per l'uomo. 
Di una Bellezza che si lascia ferire 
per riannunciarsi qualche giorno dopo ancor più accecante: 
come un fiume carsico che scompare per poi riapparire. 
Come Dio, la cui assenza certuni giorni 
altro non sembra che una più ardita presenza: 
da cercarsi, però. 
La Sindone, dunque, come il racconto di un paradosso, 
un quasi rebus: "Unisci i dettagli e narrami ciò che vedi". 
Solo il cristiano può tentarne la soluzione 
senza apparire ingenuo o pericolosamente illusionista. 
Perchè scoprire dietro il fallimento un anticipo di vittoria, 
dietro l'oscuro del male il chiarore dell'amore, 
dietro il silenzio la compagnia 
è roba che fece mettere sulle graticole i martiri 
per cuocerli di derisione e compatimento.
Eppur quell'immagine giace lì, a disposizione. 
Tre minuti e basta: il tempo necessario per porgere lo sguardo, 
per abitare una Presenza, per strappare una compagnia. 
Perchè è di compagnia che si parla dietro quei fili di lino. 
Al viandante che insegue la bellezza, 
quel lenzuolo ne presenta la traccia e un anticipo: 
non ci sarà bellezza senza sofferenza, 
non ci sarà gioia senza libertà, 
non ci sarà fedeltà senza rischio. 
Ogni bellezza tiene un suo attrezzo per farsi decifrare: 
lo specchio di Cenerentola, lo specchio d'acqua di Narciso, 
lo specchio magico di Biancaneve: 
«Specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?». 
Agli specchi Cristo preferì un lenzuolo, 
giacchè le lenzuola narrano l'intimità. 
Dei gesti amorosi, dei pensieri notturni, degli amori fugaci: 
«Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37). 
Tra lo specchio dell'inganno e il lenzuolo del mistero, tre minuti. 
E una domanda appena dopo l'uscita: 
"Che te ne pare? Cosa senti dopo avermi guardata?".
Tutti in fila, a rimuginare su di una bellezza abbruttita, 
cioè una non-bellezza. 
Eppur ad uomini e donne cultori di quella profana, 
tutto ciò non suona inutile. 
Anzi appare quasi consolatorio. 
Perchè quel Volto non è l'immagine di una storia straordinaria, 
ma della più ordinaria tra le storie narrate: 
quella di Chi, deriso, non maledisse la bellezza 
ma ne trasfigurò il significato. 
Non poco per uomini e donne mai assetati di normalità 
come in tempo di effimere eccezioni.

(da Avvenire, 21 giugno 2015)

Commenti