Candido la maestra di Benedetta 
al Nobel per l'istruzione

di don Marco Pozza


L'anno scolastico di Benedetta è appena iniziato:
da qualche giorno ha iniziato a frequentare la seconda elementare.
Quella bambina, quando ne incrocio talvolta i suoi sguardi,
mi narra di un amalgama di fragilità e di grandezza,
d'ingenuità e d'intuizione, di fascino e di mistero.
L'altra sera la mamma aveva appena servito la cena
quando lei, cristallina come lo è di tutti i bambini sereni,
se ne esce con una domanda:
“Mamma, mi racconti come ho fatto a nascere?”.
L'imbarazzo è stato totale e devastante nel cielo degli adulti
seduti attorno alla tavola:
certi giorni basta la trasparenza di una bambina
per far detonare la grandezza del mondo adulto.
La sua domanda affondava le radici in una riflessione
che la maestra aveva iniziato a scuola sulle “radici”:
di una rosa, di una quercia, di un pesco.
Poi aveva fatto in modo che i bambini
continuassero la loro ricerca a casa,
chiedendo ai genitori che raccontassero loro
quali sono le “radici” della loro giovane vita.
Benedetta ha intavolato la discussione all'ora di cena,
come corollario della prelibatezze
che la mamma aveva preparato.
Ha preso gli adulti per mano,
li ha costretti a scendere nel paese della loro infanzia
e laggiù, mezzi confusi, li ha messi tutti al muro.
Un giorno non molto lontano, c'è da giurarci,
anche Benedetta sognerà di diventare
una persona originale, una donna originale.
A chi non piacerebbe sentirsi addossare
l'incantesimo di un appellativo simile?
Originale – a chiederlo alla gente della porta accanto –
lo si dice di una persona stramba, eccentrica, bizzarra.
Lo si dice anche di “un tipo”, di un matto,
di uno scentrato, di un pazzo, di uno che è fuori dal comune.
Eppure tutti questi sinonimi non rendono
la grandiosità del cuore di questa parola.
Il popolo latino - casato al quale bussiamo tantissime volte
per risalire alle sorgenti dei significati
– ha nascosto nell'aggettivo “originale”
una parolina che odora di terra, di vermi,
di scarafaggi e di concimi: “origo”.
E' un sostantivo che appartiene alla III^ declinazione latina
e ha come significato “radice, provenienza, inizio, stirpe”.
Chi ha incontrato anche una sola volta la bellezza in vita sua,
sa che lei è gelosissima:
vuole che la si serva da sola.
Ecco perchè a chi si nutre delle bucce delle cose
“originale” rimarrà solo sinonimo di bizzarria.
Per chi, invece, sbuccerà il frutto per succhiarne il succo,
quell'aggettivo si svelerà in tutta la sua nuda e caparbia bellezza:
ti dico “originale” perché vedo
che i tupi piedi sono ben piantati a terra.
Quando le radici sono ben ramificate dentro la terra,
un albero potrà crescere a dismisura:
il vento suderà sette camice
anche solo per provare a muovergli le fronde.
Quando non ha radici, invece,
potrà anche diventare altissimo in breve tempo,
ma basterà una piccola bufera primaverile
per spezzargli la colonna vertebrale e farlo diventare
poco più che legna da ardere.

Benedetta è una bambina fortunatissima, lo dice sempre lei.
La sua fortuna è anche quella d'aver trovato una maestra
che a scuola non ci va per pettinare le bambole
ma per tentare di estrarre dalla terra dell'infanzia
le migliori donne possibili.
Mettendole sulla strada della vita,
come prima cosa ha consigliato a Benedetta
d'andare alla ricerca delle sue radici:
della sua storia, di quella del suo casato,
della storia d'amore dei suoi genitori.
Forse è questa la “buona scuola”
nella quale tutti i bambini avrebbero il diritto d'imbattersi,
proprio com'è capitato a lei:
l'occasione di capire meglio chi sono e da dove vengono.
Per poi aiutarli a organizzare il percorso
verso dove vorranno arrivare.
Una buona scuola per un mondo più buono
dove sempre più uomini e donne
abbraccino l'ardire d'indossare gli stivali ai piedi
e camminare nel fango della storia,
per portare alla luce la bellezza.
Andando a stanare la volgarità.........

(da Il Mattino di Padova, 20 settembre 2015)

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