IL LAVORO CHE RUBA L’INFANZIA...

di Emanuela Bambara

Paolo ha gli occhi grandi,
che sembrano enormi sul visino emaciato,
troppo abbronzato, dal sole che picchia tutto il giorno
e continua a bruciare anche quando si fa sera,
su quel corpicino consumato dalla fatica sovrumana,
per lui così piccolo.
Ha le prime rughe, a soli nove anni.
Non sono rughe di espressione.
Le borse sotto gli occhi non sono l’eredità di bagordi notturni.
In uno stretto accento ragusano,
racconta la sua vita non-vita di bambino lavoratore,
secondo nato di cinque fratelli in una famiglia di braccianti,
la cui sola ricchezza sono i figli.

Si alza dal letto alle cinque del mattino,
dopo briciole di sonno,
per salire insieme al padre sul camioncino
che lo porta nei campi a raccogliere pomodori,
tutto il giorno, fino al limite del tempo solare,
finché per gli adulti non è abbastanza.
Non è un caso solitario, il suo, purtroppo.
In alcune aree interne di Sicilia e Puglia, ma non soltanto, 
sono molti i bambini come Paolo, suoi coetanei,
costretti a svegliarsi all’alba, per recarsi a lavoro nelle campagne,
per pochi spiccioli, senza una paga certa,
senza orario, ma sempre fin oltre il tramonto.
È una scena di vita non-vita che si ripete,
sempre più spesso, in Italia,
soprattutto nelle regioni del Sud,
ma generalizzata su tutta la penisola,
e che non riguarda soltanto i figli di immigrati.

L’Italia ha la maglia nera, in Europa,
per vittime accertate dello sfruttamento del lavoro minorile,
con un tasso di abbandono scolastico che sembra da Dopoguerra:
oltre il 25 percento, in maggioranza bambine.
I dati pubblicati dall’Osservatorio nazionale
sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza (Paidòss)
insieme all’ Associazione nazionale mutilati invalidi del lavoro (Anmil),
in occasione del secondo Forum internazionale
dell’infanzia, dell’adolescenza e della famiglia,
dal 24 al 26 settembre, a Lecce,
sul tema “Figli di un lavoro minore”, sono allarmanti.
Sarebbero oltre 280mila gli italiani “under 16” che lavorano,
per oltre un milione di ore ogni giorno.
Almeno 30mila sono “a rischio”,
in quanto impiegati in lavori pericolosi o in ambienti ostili,
che possono compromettere seriamente l’equilibrio nello sviluppo.
Circa 800mila vivono sotto la soglia di povertà.

“Non sono purtroppo rari i casi in cui ragazzini
sono costretti a lavorare alla sera,
rinunciando al riposo ed esponendosi
a una maggior probabilità di malattie,
come diabete e tumori.
Molti maneggiano assiduamente sostanze chimiche tossiche,
per esempio, i piccoli impiegati in negozi di parrucchiere
o come calzolai, meccanici, braccianti agricoli.
Ci sono ragazzini che devono utilizzare oggetti taglienti
o attrezzi pericolosi, altri che aiutano in cantieri edili,
dove il rischio di incidenti è alto”,
dichiara Franco Bettoni, presidente nazionale di Anmil.

Nel mondo, il fenomeno dello sfruttamento del lavoro minorile
riguarda oltre 150milioni di bambini.
È uno schiaffo ai diritti dell’infanzia.
“Lavorare prima dei 16 anni è un furto dell’infanzia,
mette a rischio la salute e il benessere psicofisico
e non aiuta a trovare meglio lavoro.
Le stime indicano addirittura che un bambino
costretto a lavorare prima del tempo
avrà il doppio delle difficoltà per trovare
un impiego dignitoso, da adulto”,
spiega Giuseppe Mele, presidente di Paidòss.

Crescono anche sui Social le domande di lavoro
da parte di minorenni.
Lavorano in vari settori, nella ristorazione,
nell’artigianato, come assistenti di bottega,
per la consegna posta, nella vendita ambulante,
ma anche in impieghi pesanti,
come facchini, nell’edilizia o nell’agricoltura.
Molti vorrebbero fare i pizzaioli.

L’elemento inquietante, dal punto di vista culturale e sociologico,
è la banalizzazione di questo fenomeno nell’opinione pubblica,
l’eccesso di indulgenza e la scarsa consapevolezza dei genitori
sui danni per i giovani lavoratori,
insieme alla mancanza di comunicazione con i figli.
Su un campione di mille famiglie di minorenni lavoratori,
il 34 percento ignora che il problema li riguarda direttamente,
oltre il 54 percento lo giustifica,
e ritiene la crisi economica una valida motivazione.

Si tratta, insomma, di una emergenza sociale ed educativa.
Per Mele, “la scuola deve essere protagonista
del processo di crescita dei ragazzi
e può diventare un antidoto efficace allo sfruttamento dei minori.
Gli insegnanti devono tornare a essere
un punto di riferimento solido per la crescita dei giovani”. ​
E la presidente della Commissione d’inchiesta
sugli infortuni sul lavoro, Camilla Fabbri​,
ha reso bene il dramma in una sola frase​:
​“La diffusione del lavoro minorile
certifica la sconfitta di una società”,

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