CRISI DELLA STAMPA CATTOLICA

Un faro che non va spento...

di Gianni Epifani, Sacerdote rogazionista,
giornalista e regista della
Santa Messa di RaiUno


“Il giudice di ultima istanza è il pubblico;
e il pubblico legge sempre meno.
Il numero totale di copie vendute cala. In Italia,
rispetto agli altri paesi, leggiamo poco.
La stampa è in crisi […]”.
Parto da qui; da questa frase di Piero Ottone, giornalista genovese,
nel tentativo di mettere in fila le ragioni che sono all’origine
della chiusura di molte testate cattoliche.
Ma questo è solo un pezzettino della storia.
Ci sono anche la crisi economica, l’avvento di Internet,
i tagli dei finanziamenti e la soppressione
delle agevolazioni all’editoria a sancire quella
che può essere definita una vera disfatta.
Tutte queste contingenze hanno portato, nel corso degli ultimi anni,
alla scomparsa di parecchi periodici, soprattutto settimanali,
senza risparmiare l’area cattolica
che ha visto diminuire drasticamente il suo spazio.

La fioritura rigogliosa susseguente al Concilio Vaticano II,
che nel Decreto Inter Mirifica trovava lo stimolo
e la legittimazione e che si è concretizzata
nella nascita di 86 nuove testate,
aperte tra il 1965 e il 2010 -
pari al 46 per cento di tutta la stampa cattolica in circolazione -,
è avvizzita lentamente fino a rinsecchire.
Ma ricondurre la colpa solo alla crisi, a Internet
o al fatto che si legga poco sarebbe un errore grossolano.

Una parte della responsabilità è ascrivibile
a chi decide la linea editoriale se, sugli obiettivi da perseguire,
si lascia guidare dal mercato.
Quando si sceglie di dare priorità alle vendite
piuttosto che ai contenuti, virando su argomenti
che tradiscono lo spirito della propria missione,
la sconfitta è assicurata.
E non mi riferisco solo a quella economico/commerciale.

Citando la Communio e Progressio, noi della stampa cattolica
esistiamo per essere “uno specchio fedele del mondo,
e nello stesso tempo, un faro che lo illumini” nel nome di Cristo.
La nostra missione non è secolarizzarci, ma evangelizzare,
non è solo informare o raccontare
ma accendere lumi, creare il dibattito, sollecitare le coscienze,
mettere a fuoco i problemi, cercare soluzioni, per il bene dell’umanità.

Chiudere una qualunque testata giornalistica
non significa solo lasciare molti lettori orfani di stimoli
e care vecchie abitudini.
Significa creare un danno inestimabile al Paese, al suo futuro,
alla sua capacità di nutrire un pensiero critico,
di stimolare la crescita civica.
Chiudere una testata cattolica significa anche minare
la solidità valoriale di una comunità e rinunciare all’invito,
contenuto nell’Inter Mirifica, di guidare le persone
e il loro spirito verso nobili ideali.

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