Quel figlio "extra", 
monito tenace ad avere fede nella Chiesa

di Maddalena Negri

Figlio «extra»: sì, l’autore ne parla in questi termini. Può sembrare ironico; addirittura, quasi irriverente. considerare un figlio “come in più”.
Ecco, del resto, come l’autore descrive la strana creature che si ritrova per casa:


«Assume quantità di latte sconcertanti. Sembra pensare che le porte non siano abbastanza chiuse se non si sbattono. Cammina come se stesse imitando il film Tyrannosaurus Rex. Non è particolarmente entusiasta di lavare i piatti. Passa ore nella doccia. Ha memorizzato tutta la serie di Calvin and Hobbes, nonché di Tintin e Asterix, ed è a lui che chiediamo di aggiustare i computer in famiglia»
Ma un figlio non considerato, sfuggito al controllo, perché si è deliberatamente scelto di rimanere aperti alla vita, anche oltre la soglia d’attenzione, innegabilmente procura qualche grattacapo e - magari - qualche presa in giro in più, rispetto ai figli avuti in precedenza, in anni non sospetti e quando avere un figlio era considerato dalla “gente comune” un passo normale dell’essere coppia.
Conosco, anche personalmente, più di un caso di coppie che, molti anni dopo, hanno scelto, o, più precisamente, si sono - in un certo qual modo - ritrovate con un figlio in braccio, parecchi anni dopo l’ultimo avuto, fino a quel momento.
Senza dubbio, potrà provocare un certo imbarazzo ritrovarsi, con quarant’anni o magari oltre, al parco ai giardinetti, col fiato corto ad inseguire l’ultimo nato. O doversi giustificare, alle feste di compleanno, con un “Sa, questo mica è il primo... è l’ultimo nato. Ho altri figli adolescenti!”, quando arriva, immancabile, la fatidica domanda: “Lei è il nonno, vero? Che nonno giovane!”.
Invece, devi spiegargli che no, sei il papà, anzi, l’orgoglioso papà del tuo ultimogenito così come di tutti gli altri che lo hanno preceduto nel concepimento e nella nascita e, magari ti trovi ad aggiungere che, pur essendo stato sorpreso tu per primo, non cambieresti quest’inatteso, pur con tutte le magagne, i nuovi problemi di bilancio e i salti mortali per far quadrare i conti, con nessun paio di scarpe in più o serata libera da dedicare a una bella birra con gli amici.


Senz’altro, ci saranno poi maggiori pressioni mediche e il solo sospetto che ci possa essere una qualche malattia farà scattare l’allerta ed invitare prontamente ad una rapida eliminazione del “problema”, con le nuove frontiere della medicina, che altro non sono che nuove stragi d’innocenti coi guanti bianchi (purtroppo, le cifre sugli aborti, parlano chiaro). Perché essere accoglienti verso la vita diventa paradossalmente ancora più difficile, agli occhi di una certa cultura, proprio superati i trenta (non, come comunemente si potrebbe pensare, per il classico “errore adolescenziale” in cui si è confuso l’amore romantico con quello che necessità di progettualità, oltre che di intimità).
Provocherà, inoltre, senz’altro, qualche problema in più, nella gestione della fase adolescenziale, per l’allargamento del “gap” generazionale, ma porterà anche nuova linfa e nuove esperienze nella vita della coppie, che ne uscirà dunque rafforzata anche per quel che riguarda complicità, progettualità, condivisione di pensieri ed idee a riguardo del nuovo nato, che resterà, comunque ed in ogni caso “tutto una scoperta”.
Tuttavia, avere un figlio in età più avanzata della media ha indubbi vantaggi anche per il figlio stesso. Innanzitutto, si ritrova con genitori ormai “navigati”, che, avvezzi alle spericolate peripezie dei fratelli maggiori e lontani dalle apprensioni dei genitori “alle prime armi” non si scompongono più per ogni ruzzolone dell’ultimo nato, alle prese coi primi passi: venendo su più ruspante, tenderà quindi anche ad avere maggiore autostima, ad affrontare con meno paura sfide impegnative, con il carattere forgiato da genitori ormai coriacei e pronti ad ogni stranezza.
No, non sarà tutto rose e fiori, e nessuno s’illude che lo sia, ma, dato che il Cristianesimo vive di una Parola Incarnato, anche il suo insegnamento deve essere e, spesso, si fa, effettivamente incarnato in una persona, in un sorriso, perché non in un figlio “inatteso”?

«L’insegnamento e il frutto incarnato di questo insegnamento ci ha condotti alla Chiesa cattolica, come qualcosa di più di una mera fonte di idee utili. Il contrasto tra la gioia di avere un figlio e la convinzione dei nostri amici del fatto che non si potesse voler avere un figlio alla nostra età ci ha detto qualcosa sulla Chiesa, come una voce che dice una verità controcorrente. Amiamo il nostro piccolo e non riusciamo a immaginare la nostra vita senza di lui.»
Questa testimonianza arriva dall’America, dalle parole di chi si è convertito alla Chiesa Cattolica forse non solo, ma di sicuro anche per un insegnamento che va al di là dell’abituale comprensione, che richiede un surplus di fatica e di fiducia, come quando capita, avendo a che fare con un esperto di un settore che non ci compete, che noi deleghiamo a lui ogni mossa, dicendogli “Guarda, fai tu, che io non ci capisco nulla”. E non è una resa intellettuale, ma l’abbandono fiducioso in mani che si sa capaci di ben operare per il bene, anche se ciò significa, talvolta, recidere la pelle e procurare quel dolore che ogni chirurgo sa rivelarsi necessario per la guarigione del ferito.
Così infatti nota, non nascondendo un certo stupore:

«Avere grandi famiglie era una delle cose strane che [i protestanti bianchi americani] facevano.
E ora mi trovo tra loro e vivo una vita che non riconoscerei se avessi ancora vent’anni, e mi sento a mio agio. È una delle ragioni per le quali ho firmato la Lettera aperta al Sinodo di più di 100 convertiti. Sono uno di quelli che sono arrivati alla Chiesa “in gran parte per ciò che propone sull’essere umano nel suo insegnamento sulla differenza sessuale, il matrimonio e la famiglia”, e trovo che la saggezza e la bellezza dell’insegnamento della Chiesa siano una fonte di attrazione continua.»

Senza dubbio, talvolta, la medicina è amara. Ma una carità che non distribuisca verità non sarebbe mai in grado di indicare all’uomo il vero bene. Così come nessun allenatore che, intenerito dagli sforzi del proprio atleta, abbassasse, a sua insaputa, l’asticella del saltatore con l’asta. Certo, otterrebbe il sorriso di un momento, che però sarebbe il rimpianto di una vita e la vanificazione degli sforzi fatti per raggiungere un Sogno!

Articolo di riferimento: riportato, nella traduzione di Roberta Sciamplicotti, da Aleteia.

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