Giordania. L’arte come cura

Una settimana insieme al centro per l’art therapy “Kaynouna”, ad Amman, dedicata ai bambini rifugiati dalla Siria. Che hanno vissuto traumi e conflitti, e adesso cercano di esprimere i propri sentimenti. 






“Kaynouna” è una parola araba che descrive lo stato d’animo della parte interna di se stessi. Da’ anche il nome al The Arab Art Therapy Center, un centro che mira ad introdurre l’art therapy – assai più conosciuta nel mondo occidentale – a  bambini e adulti nel mondo arabo.
Con la sua fondatrice, Shireen Yaish, abbiamo trascorso una settimana in Giordania, dal 7 al 16 novembre scorsi, nell’ambito del nostro programma “Re’aya”, intervento di emergenza per la protezione dell’infanzia e delle vittime di violenza di genere presso le comunità di rifugiati siriani in Giordania, finanziato dalla Provincia Autonoma di Bolzano.
Il lavoro del centro Kaynouna è spingere i bambini ad esprimere i propri sentimenti e ad affrontare l’impatto quotidiano che le condizioni politiche, economiche e sociali dei propri particolari contesti hanno sulle loro vite.
Alleviare i sintomi e la sofferenza causata dalla guerra, e dagli eventi traumatici che i bambini hanno fronteggiato, era il nostro obiettivo.
Durante i sette giorni abbiamo lavorato con due gruppi diversi di piccoli siriani: il primo composto da più bambine, e in generale più vivace; nel secondo, più calmo, i maschietti erano in maggioranza. Entrambi i corsi sono stati ospitati nelle strutture dell’International Institute for Psycho-social development (IIPD) di Irbid.
Attraverso disegni e realizzazioni di piccoli manufatti artistici, si è tentato di incoraggiare i bambini ad esprimere i propri sentimenti, verbalizzarli, condividerli.
Alcune delle sessioni si sono concluse con l’attività di creazione di “maschere della felicità”, la cui lavorazione portava pian piano a stimolare alcune domande: Come ti vedono le persone? Cosa mostri a loro? Quali sentimenti preferisci mostrare – e quali non mostrare – agli altri?. Il tentativo era quello di capire insieme ai bimbi come si sentissero davvero, cosa eventualmente volessero nascondere.
Giornate che hanno permesso di stare accanto a bambini che hanno conosciuto il trauma della guerra.
Come Zeina, cui metà del corpo è rimasto ustionato quando la sua casa è stata colpita da un’esplosione tre anni fa, in Siria. Anche i suoi familiari hanno riportato ferite gravissime, e ciò di cui hanno più bisogno è un sostegno psicologico.
O come Medo, un bambino di 6 anni timido e riservato, che all’inizio si rifiutava di condividere il suo nome e di realizzare qualunque forma d’arte. Incoraggiato e stimolato, ha lentamente mostrato la sua rabbia. Una sera suo padre l’ha pregato di andare a dormire, promettendogli che l’indomani sarebbe tornato. Non l’ha mai più fatto. Medo non si perdona ancora di essere andato a dormire quella sera, e si sente tradito dal suo papà. Durante le sessioni, ha mostrato una forte aggressività, bisticciandosi con gli altri bambini. L’arte da lui prodotta ha mostrato tutta la rabbia, la delusione e il trauma derivanti dalla perdita del padre.
L’arte realizzata dai bambini durante gli incontri ha riflesso il loro profondo e inespresso bisogno di essere ascoltati e di esternare sentimenti troppo spesso soffocati.
Rabbia, delusione, trauma ed abbandono. L’arte di Medo è solo un esempio dei problemi che questi bambini hanno condiviso, riuscendo ad esprimerli attraverso l’arte.
Luna Roveda – Project manager Un ponte per…, Amman – Jordan. 

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