Il funerale di Luca, “debole e malriuscito” eppure il più felice e il più amato di tutti noi





 di Pier Giacomo Ghirardini





Sabato al funerale c’eravamo tutti. Anche chi non si vedeva da anni. E la bara non ci ha affatto persuasi che lui fosse morto

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – «I deboli e i malriusciti devono perire: questo è il principio del nostro [il corsivo è dell’Autore] amore per gli uomini. E a tale scopo si deve anche essere loro d’aiuto./ Che cos’è più dannoso di qualsiasi vizio? – Agire pietosamente verso tutti i malriusciti e i deboli – il cristianesimo…». Così parlò Friedrich Nietzsche ne L’Anticristo.
Sabato scorso sono tornato al paese, in montagna, per un funerale. Il funerale di Luca. Luca era una persona con sindrome di Down. Secondo il grande “filosofo del reale” rientrava fra “i deboli e i malriusciti”, nei confronti dei quali il cristianesimo sarebbe così perversamente incline alla pietà. Ma Luca non era affatto “debole”. L’abbraccio con cui strizzava ogni persona che incontrava per la strada, riservando ad ognuno di noi, sempre, il più caloroso dei saluti, se non ti incrinava un paio di costole come minimo ti riattivava la circolazione sanguigna. Luca non era affatto “malriuscito” se con questa parola si intende “infelice”, perché Luca era la persona più libera e felice della vallata. Se un sentimento suscitava Luca in tutti quelli che lo conoscevano non era certo la pietà ma la gioia di vivere. Luca conosceva ognuno di noi, i nostri parenti e i nostri problemi. Penso che fosse uno dei pochi al paese a ricordare che mio fratello aveva fatto un grave incidente – e quando lo incontravo, mi chiedeva sempre come stava, per poi parlarmi dei suoi amati fratelli e nipoti, come un patriarca. Luca si inginocchiava quando faceva la comunione. Aveva sempre un gesto naturalmente nobile. Luca aveva un umorismo che produceva battute folgoranti, demistificanti, liberatorie, sempre azzeccate. Luca non viveva la vita degli altri ma ha vissuto la sua, pienamente. Ha molto sofferto, nell’ultimo periodo, prima di andarsene. Amato e assistito come non mai.

 Sabato al funerale, in questo nostro paese che d’inverno si svuota, c’era una fila di macchine parcheggiate che neanche a Ferragosto, o per la sagra di San Giacomo – che c’è mercato. C’eravamo tutti. Anche chi non si vedeva da anni. E la bara di Luca non ci ha affatto persuasi che Luca fosse morto. Anche perché era vicino a un grande angelo che sovrastava il presepio. Perché negli occhi di tutti c’era riconoscenza nei confronti suoi e dei suoi cari, solo bei ricordi, una felicità da attesa del Natale. Il meglio di noi e per noi.
Non so perché, tornandomene a casa in macchina, m’è venuto da pensare ad Albert Einstein che, non rassegnandosi a dar credito alla meccanica quantistica, diceva: «Non crederò mai che Dio giochi a dadi col mondo!». Sì Albert, avevi ragione. Anche Luca la pensava così. E il dono della sua vita non è stato un frutto del caso.

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