La mozzarella no!


DI COSTANZA MIRIANO

Mio marito parla poco, ma il più delle volte quelle poche cose che dice hanno un senso. Io, da parte mia, ogni tanto lo invito a conversare del più e del meno, ma la sua risposta standard è “che ti dico, se non ho niente da dire?”, mentre io, al contrario, riesco a intrattenere conversazioni (per me) avvincenti anche con la signora del casello autostradale, corsia per carte di credito, che è una voce registrata ma secondo me anche lei, visto che insisto da anni, prima o poi diventerà mia amica.
Comunque, dicevo, mio marito parla poco, ma con tre o quattro parole poi mi costringe a ragionare una giornata o più. Venerdì scorso, appunto, cercavo di trascinarlo in una chiacchierata sulle dieci ragioni per cui vale la pena vivere, il tema cuoresco ripreso da Roberto Saviano e commentato magistralmente, in due modi diversi, da Camillo Langone e daAnnalena. Mentre esprimevo apprezzamento per gli articoli usciti sul Foglio, mio marito mi ha chiesto: e perché non cercare piuttosto dieci buone ragioni per morire?
E in effetti.
Al liceo ci insegnavano che più importante ancora che dare buone risposte era fare buone domande. Per l’attività speculativa in effetti è fondamentale porre correttamente le questioni.
Posto che la mia capacità speculativa è più o meno pari a quella di un tacchino, soprattutto al bar, la mattina, mentre prendo il caffè con il consorte, e soprattutto quando arrivo alla fine della settimana (il sabato e la domenica a volte c’è la speranza di dormire sette minuti e tredici in più, e di riacquistare qualche brandello di lucidità), ho cercato comunque di ragionarci.
Forse per il popolo di Repubblica no, ma per noi cattolici la vita è un dono, innanzitutto. E’ vero che anche questo dono si può respingere, ed è vero che quella alla vita è la prima delle tre vocazioni alle quali dobbiamo rispondere (alla vita, alla fede, alla vocazione specifica), ma è anche vero che il problema delle ragioni non è ben posto: se diciamo no significa che scegliamo di morire. Ma la vita non è nostra, e come non ce la possiamo dare non ce la potremmo neanche togliere.
Se il no dunque non è tra le opzioni, non c’è bisogno di ragioni per il sì.
E quindi, si torna alla domanda di prima.
Visto che l’abbiamo ricevuta in dono, come possiamo spenderla nel migliore dei modi? Per cosa dunque vale la pena morire? O più precisamente quali sono le ragioni per spenderla, questa vita?
Questo occidente è così mal messo quanto a ricerca di senso, che qualsiasi presunta battaglia attecchisce: la salvezza delle balene spiaggiate, l’inquinamento luminoso delle città – come pensare di addormentarsi senza avere contemplato in religioso silenzio l’orsa maggiore? – l’estinzione della palma nana, il cibo biologico. Tutte cause sacrosante (a parte la palma nana che non so neanche se esiste, me la sono inventata al momento) che però non possono colmare il vuoto di senso nel quale è immersa la modernità da quando ci hanno scoperchiato il tetto.
E allora uno il senso lo cerca nella mozzarella, che se non sbaglio è la prima delle ragioni per cui vale la pena vivere per lo scrittore campano, oppure nel gelato. Ma un gelato può riempire la pancia, non il cuore (per quanto ammetto che il pane e salame a volte possa anche dare l’ingannevole impressione di avvicinarsi allo scopo).
Che un gelato possa essere tra le ragioni di vita mi rattrista davvero troppo.
Io personalmente non ne posso più – sono anni che si fanno – di elenchi dei piccoli piaceri alla Francesco Piccolo. Simpatico, intelligente. Ma noi uomini siamo chiamati a volare più alto.
La nostra vita è eterna, e ha un respiro infinito, ed è per questa grandezza che ha senso spenderla. In qualcosa che ci avvicini a conoscere e a gioire della nostra Famiglia, della nostra appartenenza più profonda, e che aiuti anche chi ci è vicino in questo itinerario.
Se la mozzarella ci porta un qualche conforto lungo il cammino, ben venga. Ma questa sia la ragione del cammino, questo no. Davvero troppo triste.

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