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La trattoria che vieta l’ingresso a chi ha figli sotto i cinque anni e l’hotel solo per famiglie con prole

di Michela Proietti


Il cartello col divieto del ristorante di Casalbertone






Il cartello col divieto del ristorante di Casalbertone

Nel triste elenco delle segregazioni, per fortuna, non passerà alla storia quella decretata da un ristoratore romano, che ha vietato l’ingresso ai bambini nel suo locale. Ma il diktat della trattoria di Casalbertone lascia il dubbio di essere nel mezzo di un cambio di genere: da Paese caciarone del «mamma-la-mia-canzone-più-bella-sei-tu», forse ci stiamo trasformando in un’oasi bonificata kinder verboten? 

«Causa spiacevoli incidenti»

Per il proprietario del ristorante, la ragione del gesto è pratica: «A causa di episodi spiacevoli dovuti alla mancanza di educazione, in questo locale non è gradita la presenza di bambini minori di anni 5». Asciutto e un po’ burocratico, l’annuncio già divide. Il partito dichiarato dei no kids , approva la decisione, pensando a quanta pace si guadagnerebbe senza gli acuti del bambino del tavolo a fianco. Invece il Moige, il movimento italiano genitori, ha definito «raccapricciante il cartello razzista verso i minori. Il fatto che succeda a Roma, nell’anno giubilare che vede arrivare migliaia di famiglie da tutto il mondo, rappresenta un’ennesima figuraccia». 

«Twilight zone»

Tra i due fronti, c’è una «twilight zone» di persone tolleranti, esperte in sorrisi di convenienza e risolini forzati a ogni atto vandalico compiuto dai nostri figli a tavola. Ma che ne farebbero volentieri a meno. I dink (double income, no kids), coppie con doppio stipendio e nessun bambino, sono la fetta di clientela emergente da assecondare: disposti a spendere quel che basta per un hotel di lusso o un ristorante stellato, rivendicano la loro area protetta, stanchi di menu dove occhieggiano milanesine e nuggets di pollo. Proprio un anno fa la pizzeria gourmet Sirani di Bagnolo Mella, a Brescia, ha preso una posizione netta: niente bambini dopo le 21. La fama da Erode, per un po’ di tempo, ha superato quella di chef: ma Nerio Beghi, premiato nella top ten 2014 del Gambero Rosso, ha mantenuto il punto. 
«Ricordo una sera, saranno state le undici e mezza - ha spiegato -: un bambino strillava disperato, mentre i genitori continuavano le chiacchiere e muovevano un po’ la carrozzina. È impensabile portare un bambino fuori a quell’ora!». Su Tripadvisor, alle recensioni sugli impasti, si sono aggiunti, dopo l’episodio, anche commenti sul fatto: «Se non volevano bambini dovevano aprire una gioielleria». 
Il foodporn , che ha trasformato il vecchio ristoro in un tempio dove assaporare cibo in silenzio, ha dato una spallata al partito dei bimbi. Proprio un anno fa lo chef molecolare Grant Achatz, dichiarava urbi et orbi, con un tweet, quanto fosse stato infastidito dalla presenza di un bambino urlante nel suo ristorante di Chicago «Alinea». Il fronte degli intolleranti è nutrito e imprevedibile: non solo una psicologa solitaria come Katia Kermoal ha dato alle stampe il libro intitolato «L’enfantasme», sul bambino (degli altri) molesto, ma anche i detentori di prole ammettono la preferenza per il mondo adulto. «Amo mio marito più dei miei figli», ha scritto Ayelet Waldman, moglie dello scrittore Michael Chabon, nel pamphlet «Bad Mother». 

«Fuori gli adulti»

Eppure proprio in Italia, in Val Gardena, nel 2005 è partito un progetto che va nella direzione opposta: Ralph Riffeser ha deciso di trasformare il suo family-resort di Ortisei, il «Cavallino bianco», in un hotel aperto solo a famiglie con bambini. «Fino al 2002 avevamo anche coppie senza figli - racconta -. Poi ho capito che non potevo far pagare a questi clienti una cifra importante in cambio di pappe e schiamazzi. Così, anziché chiudere ai bambini, ho pensato di tenere fuori gli adulti». La formula oggi è collaudatissima: trovare posto al Cavallino bianco, in alta stagione, è impossibile. Delle 132 persone dello staff, 20 ragazze si occupano solo del Lino’s Club, il miniclub: i bambini ammessi vanno da un mese di vita a 16 anni. «I genitori non si sentono in imbarazzo se il figlio fa i capricci a tavola, nessuno li guarda male», spiega Riffeser. Anche in Sardegna, al Forte Village di Santa Margherita di Pula, si è investito sui piccoli: lo scorso anno, tra le dune di sabbia e i bungalow a 5 stelle, è stato inaugurato il Mario’s Village, paese in miniatura aperto ai piccoli ospiti, ispirato al villaggio lillipuziano de «I Viaggi di Gulliver». «Ma il vero business sarebbe aprire in città un ristorante solo per i bambini - suggerisce Riffeser -. Nessuno ha questa audacia e si annacqua il sushi-bar con il baby sitting. Chi avrà coraggio, sarà premiato».

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