Deus mihi dixit

Ci sono vite nella quali la notte sembra non aver fine, la musica è solo un continuo lamento, i sogni sono incubi che non ti lasciano mai, neanche quando apri gli occhi, e la preghiera è di non vedere più sorgere quel sole che non riscalda il cuore. Sono vite di donne e uomini che alzano al cielo il grido di Giobbe (3, 1-23): “Maledetto il giorno in cui son nato e la notte in cui fui concepito! Perché non sono morto nel grembo di mia madre? Perché non sono spirato sul nascere? Se fossi morto allora, riposerei in pace e ora dormirei tranquillo… Nella tomba i malvagi non fanno più tribolare e anche chi è sfinito trova riposo”.
È questo l’Inferno. La disperazione, il dolore ingiusto e che appare senza vie d’uscita, senza soluzione, dove la tentazione di accusare Dio di indifferenza prende posto nell’anima sul trono della sofferenza. Il fuoco dell’Inferno è l’umiliazione della dignità umana in chi, figlio di Dio, è trattato da schiavo, in questo mondo, e si sente condannato a vivere. Brucia, lo spirito, nella sofferenza e volge in alto la domanda accorata che fu di Gesù sulla Croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi ha abbandonato?”.
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È l’urlo di dolore dei crocifissi e delle crocifisse di ogni tempo, di chi vive ogni attimo come se fosse l’ultimo, desiderando che sia l’ultimo, per trovare la pace del silenzio. E rivolge al Signore la terribile accusa: “Perché sei muto?”.
Perché Dio Onnipotente non interviene nella storia a salvarci e permette il male? È “la” domanda della teologia. Il teologo Bruno Forte ha detto che la Bibbia, oltre ad essere il Libro della Parola di Dio, è il Libro del Silenzio. Dio parla nel silenzio, con il silenzio, e nel silenzio dice la sua presenza, il suo amore, il suo dolore partecipe delle nostre sofferenze. La Parola di Dio è “la voce sottile nel silenzio”, scrive André Neher. In quel silenzio, lascia parlare la libertà dell’uomo, la sua scelta tra il bene e il male. “Concedendo all’uomo la libertà, Dio ha rinunciato alla sua potenza”, scriveva il filosofo ebreo Hans Jonas. Dio tace per lasciare parola all’uomo. “Tocca all’uomo dare”.
“Dio non si rivela più, sembra nascondersi nel suo cielo, in silenzio, quasi disgustato dalle azioni dell’umanità”, disse Giovanni Paolo II nell’Udienza generale dell’11 dicembre 2002, parafrasando le parole del profeta Geremia. E Benedetto XVI, durante la sua visita ad Auschwitz nel 2006, affermò: “In un luogo come questo vengono meno le parole. In fondo, può restare soltanto uno sbigottito silenzio; un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?”.
San Giovanni della Croce diceva: “Il Padre pronunciò la sua parola in un eterno silenzio, perciò è in silenzio che essa deve essere ascoltata dagli uomini”. E l’ascoltare è anche un agire. Nell’Omelia alla Santa Messa a Santa Marta, martedi 23 febbraio 2016, Papa Bergoglio ha detto che “il Cristianesimo non è la religione del dire. Il Signore ci insegna la strada del fare”. Il Vangelo è la Parola vivente, che significa azione, che parla nella vita, che si traduce nell’amore sentito e praticato. L’ascolto – affermava Jonas – non è pura “auscultazione”, ma è dialogo, reciprocità, responsabilità. È anche un “vedere” e un “rendersi visibili”, nelle opere. La Parola di Dio è un dire con segni e prodigi, ma anche con dolorosi silenzi, che lasciano parlare le opere degli uomini. Il silenzio di Dio non è muto, ma paziente. Parla con l’azione degli uomini. Dio risponde con la voce, visibile e tangibile, dei suoi testimoni e dei suoi discepoli, di chi non resta indifferente e insensibile di fronte al male e alle sofferenze, ma interviene con forza e con delicatezza, accelera il passo per porgere la mano al fratello o la sorella e tirarlo fuori dalle sabbie mobili di esistenze dolenti, si arrampica per sradicare i chiodi e aiutarlo a scendere dalla croce e rinascere a nuova vita, l’accoglie in un abbraccio salvifico, asciuga le lacrime, strappandolo alle nebbie della solitudine, alla prigionia delle tenebre del dolore, della disperazione, della malvagità umana.
“Ciò che Dio dice sono realtà compiute”, scriveva Jonas. È la voce che parla nei volti e nella azioni di chi vince il male con il bene, nell’agire dei tanti “soldati di Dio” che usano l’arma della preghiera e della fraternità, dei “servitori della Parola”, che mettono in pratica le Beatitudini nella vita quotidiana, portando la luce dell’amore misericordioso del Padre nel buio profondo della notte infinita delle esistenze di tanti figli perduti nell’Inferno del mondo, con un aiuto concreto.

Dio parla attraverso chi non resta silenzioso e fermo di fronte al male, all’errore, al peccato.

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