A chi non è capitato in vita di essere persona disponibile, per poi trovarsi un pungo di mosche in mano? A chi non è successo di fare del bene, per poi sentirsi alle spalle critiche o etichettature per mettersi in mostra, per avere notorietà?

Credo che di tali fatti abbia fatto esperienza pure… Dio! Si, si, proprio Lui, in Gesù: a volte, mi metto a pensare quante ne avrà sentite, mentre stava con gli ultimi, “perdeva tempo” con i peggiori, si metteva a tavoli con ladri, o comunque con gente assai poco vera e sincera; per non parlare, ancora, dell’aversi “fatto in quattro”, specie per i discepoli, per trovarsi, dopo tre anni di vita condivisa assieme, ad essere lasciato morire… da solo, e abbandonato!
La fonte della nostra tristezza quando agiamo bene, ma non ci “ritorna” nulla, la troviamo in una parolina delicata, chiamata aspettativa. Difficile negarlo, ma come persone, quando agiamo, in noi vi è presente un tornaconto.
Mi spiego.
Se faccio un favore ad una persona, mi aspetto qualche cosa, o no? Può essere un «grazie!», una mancia, il notare il suo sorriso, a favore concluso… In ogni caso, creerebbe imbarazzo e confusione non poter vedere alcuna reazione in essa; o, per lo meno, provocherebbe sicuramente qualche dubbio, in noi.
Perciò, tornando alla domanda posta, sarebbe importante sempre dare un nome all’aspettativa che abbiamo. Perchè, forse, a volte, l’aspettativa stessa nostra è ben superiore alla restituzione dell’altra persona, e questo… ci manda in crisi! «Io voglio un bene dell’anima a…, ma non vedo corrispondenza»: si sente pronunciare questo ritornello, da più persone…
Come agire, dunque?
Come cristiani, il punto di riferimento è sempre… Gesù! Come ha reagito lui, di fronte al tanto “non corrisposto” ricevuto? Ha abbandonato il suo modo d’essere, o, magari anche con sacrificio e fatiche grandi, non ha cambiato il suo atteggiamento? Nel Vangelo constatiamo sempre che Lui è rimasto fedele al Padre: anche senza alcuna corrispondenza, non ha cessato mai di vedere il bene, di farsi prossimo, di offrire misericordia e perdono (anche morente in croce).
Dunque, anche se sembra più un’azione di autolesionismo che una scelta saggia, l’invito (non facile, ovviamente) è quello di proseguire e non arrendersi, anche qualora il nostro bene, la nostra delicatezzza, la nostra dolcezza non fossero corrisposti.
Si agisce in due modi, come esseri umani: o “perchè tocca“, o “per amore“. Nel primo caso tutto è obbligo, costrizione, e nel tempo, se ne perde il valore, la vivacità, la gioia; nel secondo, tutto diventa scelta, e, pur essendo ostico, quando si agisce per amore, anche ciò che sembra pazzescamente impossibile, diventa umanamente realizzabile!
Potrebbe mai una persona che è per natura solidale, buona, genuina, altruista, camuffarsi e trasformarsi in egoista, non curante degli altri? Non credo proprio… C’è chi le maschere non riesce a tenerle neanche a Carnevale, ed essere se stessi sempre è il modo migliore per rispettare l’originalità che Dio ha voluto donare personalmente ad ognuno!
don Federico, parroco di Camporovere

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