Caino: cattivo e colpevole per sempre

 
Proprio in questi giorni una mia nuova amica di penna, Giuliana, mi ha scritto: «A tutti gli uomini deve essere data la possibilità di pentirsi (come ha fatto nostro Signore sulla croce) e di incamminarsi nel mondo in una nuova vita, e ciò deve essere fatto dagli uomini verso i propri simili con amore e… misericordia». (Diario di un ergastolano:www.carmelomusumeci.com)
 
 Lo so! Non è facile confrontarsi con gli studenti che entrano in carcere per partecipare al progetto “Scuola Carcere”. Spesso è anche doloroso  leggere alcune loro lettere come questa: «(…) Ha rafforzato la mia convinzione che non tutti abbiano il diritto di essere recuperati. Carmelo Musumeci, incontrato ai Due Palazzi, capo di una banda malavitosa in Versilia, condannato inizialmente al 41 bis per racket, attentato, esecuzione, omicidio e una serie di altri reati, ha sostenuto che il carcere sarebbe completamente da abolire e che nessuno dovrebbe avere una pena superiore ai cinque anni. Potrei trovarmi d’accordo con queste affermazioni se cominciassimo a considerare il valore di una vita umana uguale a quello di un fastidioso insetto o di un oggetto di cui disporre a proprio piacimento.
In tal senso, considerando che il signor Musumeci, durante il suo racconto, si è soffermato su particolari ricchi di pathos come il non ricordarsi più il sapore dell’acqua del mare o il proprio aspetto al di fuori dal volto, o come la stranezza di tornare a casa e di vedere i suoi nipotini, non posso fare a meno di pensare che le persone vittime dei suoi reati difficilmente possono godersi ancora una vacanza con i propri cari, specialmente se sotto un metro di terra. Non avevano forse anche loro lo stesso diritto alla vita, alla libertà e agli affetti che tanto viene preteso da chi quella stessa vita, quella stessa libertà e quegli stessi affetti li hanno tolti?»
        Senza voler dare peso al fatto che le carte processuali che mi hanno condannato dicono che le vittime dei miei reati mi hanno sparato sei colpi (tutti a segno sul mio corpo), mi cade il cuore a terra al pensiero che adesso, oltre a continuare a pagare la mia condanna, devo iniziare a scontare un’altra pena, quella legata al fatto che “mi è andata bene” o “che me la sono cavata” se, dopo venticinque anni di carcere, sono uscito per qualche giorno in libertà.
Continuo a pensare che si possa diventare cattivi quando, fin da bambino, ti manca una via di scampo o alternative (o sei così debole da non vederne) e ti senti impotente. Nella mia testimonianza ho affermato “che nessuno dovrebbe avere una pena superiore ai cinque anni” perché, nella maggioranza dei casi, la galera distrugge le persone e perché spesso la pena viene usata per bastonare il cuore e le menti dei prigionieri. Giustamente, la società condanna il male, ma sono poche le persone che si domandano l’origine di quel male: probabilmente perché non interessa la loro vita. Rispetto il parere espresso da questa studentessa, ma non sono d’accordo sul fatto di sostenere che certe persone siano irrecuperabili e che rimarranno cattive e colpevoli per l’eternità. Le relazioni e gli incontri sono quelli che ci fanno crescere e sono convinto che i cattivi possano migliorare se vengono aiutati ed educati (che, letteralmente, significa “lasciar venire alla luce”, “trarre fuori”) alla tenerezza, all’amore e alla speranza. Purtroppo, però, il carcere, così com’è gestito in Italia, ci insegna solo a diventare ancora più cattivi.
In ogni caso, qualora si ritenga che alcune persone siano dei mostri, allora meglio condannarli a morte piuttosto che murati vivi per l’eternità.
      Sono fortemente convinto che non esista alcuna persona irrecuperabile e che nessuno debba essere identificato solo con il male che ha fatto. Con un po’ di aiuto, potrebbe emergere anche il bene che ha già in sé e che potrebbe esprimere. Inoltre, penso che non ci sia miglior “vendetta” per la società che educare le persone perché, solo se si cambia interiormente, il colpevole può rendersi conto del male che ha fatto e solo allora potrà lasciar emergere il senso di colpa e l’onesta consapevolezza del danno commesso. Il senso di colpa, infatti, è la più terribile delle pene, peggiore del carcere e dell’ergastolo. Per fortuna (o per sfortuna) molti  lo ignorano e preferiscono solo tenerci in carcere e buttare via le chiavi.
 
Carmelo Musumeci
Carcere di Padova maggio 2016

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