LORO MUOIONO IN MARE, NOI COSA FACCIAMO?

A Reggio Calabria le associazioni cattoliche si sono riunite nel Coordinamento ecclesiale diocesano per gli sbarchi. «Da cristiani non possiamo rimanere a guardare».
«Ero nudo e mi avete vestito, ero straniero e mi avete accolto”. Tante volte avevo ascoltato queste parole del Vangelo, ma mai come durante gli sbarchi del 2013 le sentii rivolte a me». Difficile dimenticare i naufragi drammatici del 3 e dell’11 ottobre 2013, quando a Lampedusa e al largo di Malta morirono oltre cinquecento persone; impossibile se gli sbarchi si vedono “dalla finestra di casa”. Bruna Mangiola, 63 anni, vive a Reggio Calabria e quei giorni li ricorda fin nei minimi particolari: «I superstiti furono sistemati nello “scatolone”, la palestra accanto allo stadio, con le finestre sbarrate: non sapevo cosa fare, ma mi dicevo che noi cristiani non potevamo rimanere indifferenti davanti a tutta quella sofferenza».

Quella sera anche padre Bruno Mioli, direttore dell’Ufficio diocesano Migrantes, si precipitò allo “scatolone” per capire come dare una mano: «Ci ritrovammo lì con tanti amici, avevamo generi di conforto, ma non ci fecero entrare», ricorda il sacerdote scalabriniano, 87 anni spesi con generosità e portati energicamente. «Ci rendemmo subito conto che il cibo non serviva perché veniva fornito dalle istituzioni, quel che mancava era il calore umano».
Uniti da questa intuizione e dalla chiamata alla solidarietà, i volontari diedero vita – unico caso in Italia – al Coordinamento ecclesiale diocesano per gli sbarchi: settanta fra giovani e adulti appartenenti ad associazioni come Masci, Agesci, Caritas diocesana, Migrantes, Comunità papa Giovanni XXIII, Comunità di Sant’Egidio, Moci, padri e suore Scalabriniani ma anche tante persone non credenti. «Ci siamo messi a disposizione della Prefettura offrendo uno stile di accoglienza basato sul sorriso e l’attenzione ai casi più delicati», dice ancora padre Mioli.
SMS PER RADUNARE GLI AIUTI 
Nella sola Reggio Calabria in tre estati sono arrivate 40 mila persone e, da quasi tre anni, i volontari accolgono instancabilmente chi riesce a sopravvivere al viaggio in mare. «La Prefettura ci allerta a ogni arrivo e noi diramiamo la richiesta di aiuto con un messaggio su Facebook e WhatsApp. È successo che ci chiamassero a Natale o a Ferragosto: ci siamo sempre fatti trovare pronti sulle banchine», dice con orgoglio Bruna Mangiola. Pronti e senza mascherina, e non perché siano imprudenti. «Non ci sono rischi oggettivi. Chi, davanti a un parente in arrivo da lontano, si coprirebbe il volto? Sorridiamo a questi fratelli sopravvissuti a violenze inaudite».

I volontari del Coordinamento mettono in pratica nel migliore dei modi l’accoglienza cristiana, unita alla proverbiale ospitalità del sud Italia. «Abbracciamo i piccoli e facciamo fare loro la doccia scaldando l’acqua con un pannello solare: per chi scampa dalla morte le cure affettuose sono quanto di più bello si possa ricevere. Prima di metterci all’opera però preghiamo insieme Dio di assistere chi arriva e di sostenerci nel servizio. Quando poi tutti sono saliti sui pullman per raggiungere i centri di accoglienza, chiudiamo il nostro servizio con un canto».
«Offriamo anche conforto spirituale come ci chiede il Papa in questo Anno della misericordia», aggiunge padre Mioli. «Ai musulmani portiamo il conforto della provvidenza, citando il Corano dove parla di Dio grande e misericordioso. Alcune volte ho fatto anche un po’ di catechesi e celebrato Messa, ma solo dopo aver accertato che i migranti fossero cristiani».
OLTRE L’EMERGENZA 
L’intervento del Coordinamento non si limita agli attimi dello sbarco: c’è chi si occupa di reperire vestiti e scarpe, chi fa animazione e insegna italiano, e chi presidia l’Help centerdella Caritas situato alla stazione ferroviaria.

«Ogni associazione aiuta in quel che può ed è nel suo carisma, ma l’indirizzo del Coordinamento lo danno la Chiesa e la diocesi», spiega Giovanni Fortugno, punto di riferimento del Coordinamento e animatore del servizio immigrazioni della Comunità papa Giovanni XXIII.
«Durante lo sbarco cerchiamo di ascoltare con attenzione i ragazzini per capire ciò di cui hanno più bisogno», dice ancora Fortugno. «In città c’era solo una struttura di primissima accoglienza gestita dal Comune, che ospita fino a 150-200 bambini. Minori, che dovrebbero però fermarsi pochi giorni prima della ricollocazione definitiva, rimangono in città anche un mese. Per loro la Comunità papa Giovanni XXIII e la diocesi hanno scelto di aprire una casa di accoglienza da 12 posti: la provvidenza e l’8 per mille sostengono tutto quello che facciamo».
In questi anni di servizio con i migranti la sensibilità dei cittadini e dei fedeli reggini è molto cambiata. «All’inizio tanti avevano paura delle malattie, ed erano spaventati dagli arrivi di massa. Ora invece molti chiedono di entrare nel Coordinamento, anche musulmani ed evangelici, così da rendersi utili», interviene ancora Bruna Mangiola. Seguendo l’invito del Papa e dell’arcivescovo Giuseppe Morosini, che appena riesce raggiunge il porto, diverse parrocchie hanno aperto le porte agli ultimi arrivati.
LA VEGLIA PER I 45 MIGRANTI 
Il 31 maggio, nella chiesa di Santa Maria del Buon Consiglio a Ravagnese, più di cinquecento persone hanno partecipato alla veglia di preghiera per i 45 migranti morti nel naufragio di pochi giorni prima. Stretti a semicerchio attorno a una croce, hanno pregato per le vittime. «Sulla croce di legno sono stati battuti 45 grandi chiodi, come a ricordare che le vittime, cristiane e musulmane, hanno unito il loro sacrificio con quello di Cristo», ricorda padre Mioli. «In processione abbiamo poi raggiunto il Reparto volo della Polizia di Stato, all’aeroporto. Davanti al camion con la cella frigorifera in cui erano conservati i corpi, l’arcivescovo ha dato l’estremo saluto e così pure ha fatto l’imam».

Le salme sono poi state tumulate nel cimitero di Armo, alle porte di Reggio Calabria, e identificate con un numero in attesa del riconoscimento. «I migranti non sono un pericolo, ma sono in pericolo», ha detto recentemente il Papa. Parole quanto mai vere, che invitano a rendere testimonianza della propria fede aprendo le porte a chi fugge da guerra, povertà, violenza.
Affacciati al canale di Sicilia, i volontari del Coordinamento ecclesiale diocesano di Reggio Calabria lo fanno già. Nel cimitero di Armo, sul tumulo con i numeri 6 e 21, qualcuno ha depositato un mazzo di fiori: sono per una mamma morta in mare assieme al piccolo di otto mesi.

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DIGNITÀ E VITA 
Il Movimento adulti scout cattolici italiani (Masci) ha lanciato una petizione popolare per porre fine alla «strage di innocenti» nel Mediterraneo e garantire un’accoglienza «degna e rispettosa dei diritti» ai migranti che giungono in Italia. Nel documento sono formalizzate sei richieste: corridoi umanitari; accoglienza rispettosa dei diritti della persona; accelerare le procedure di Identificazione e definizione delle richieste di asilo; superare il Regolamento di Dublino; progettare percorsi di integrazione; realizzare interventi politici ed economici nei Paesi di partenza dei migranti.L’iniziativa si concluderà il 2 ottobre; la petizione verrà consegnata al Parlamento e al Governo italiani. Per info e firme: www.masci.it.

Testo di Laura Bellomi

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