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Madri cristiane e musulmane insieme per liberare i figli dal terrorismo
Liana Marabini racconta il suo ultimo film “Mothers”, in cui genitori musulmani e cristiani si battono per liberare i figli dall’utopia fondamentalista

ANTONIO GASPARI

È drammatico vedere giovani europei che militano nelle milizie terroriste dell’Isis o della jihad. Ancora più doloroso è pensare ai genitori di questi ragazzi e, in particolare, alle loro madri che darebbero la vita per liberarli da questa utopia nichilista. Sulle storie delle mamme che si battono per liberare i figli dalla follia terrorista, la regista, produttrice ed editrice, Liana Marabini, presidente del Festival del Film Cattolico ‘Mirabile Dictu’, ha voluto costruire il suo nuovo film. Si tratta di una delle prime pellicole che tratta il difficile tema dei foreign fighters. La pellicola è stata presentata negli Stati Uniti l’11 settembre, e uscirà nelle sale italiane a novembre. Il film, che è stato girato in inglese e avrà una distribuzione internazionale. Per saperne di più ZENIT ha intervistato Liana Marabini.
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Di cosa parla il film Mothers? Chi sono gli attori coinvolti?  
Mothers è un film a sfondo sociale, di grande attualità: chi si aspetta un film anti-islamico rimarrà deluso. È un film sensibile e ben documentato che descrive il dramma dei genitori, musulmani e cristiani (e soprattutto delle mamme) i cui figli scelgono l’islam radicale e la jihad. Il cast del film è internazionale e vede, accanto ad attori come Christopher Lambert, Remo Girone, Rupert Wynne-James e Victoria Zinny,  giovani promettenti come Mara Gualandris, Francesco Riva, Margherita Remotti e Francesco Meola. Le mamme sono Fatima e Angela, due donne del tutto distanti ma che si trovano unite dalla stessa tragedia: i loro figli rispettivi, Taarik e Sean, abbracciano il terrorismo islamico, il secondo addirittura convertendosi all’islam.
Due madri, una cristiana ed una musulmana, con figli che diventano foreign fighters. Da dove ha preso spunto per questa storia?
Tutti noi vediamo ciò che sta accadendo. I giornali sono pieni di storie come quella descritta nel mio film. Ci sono persone che hanno subìto questa tragedia: genitori di figli partiti per la jihad, che con questa scelta hanno cambiato le vite delle loro famiglie per sempre. In Francia, ma anche in Gran Bretagna, negli Usa e in Italia, ci sono giovani che si convertono all’islam e partono per la Siria. Sono destinati ad una fine drammatica, una corsa verso la morte che i genitori, vittime delle scelte dei figli, non possono impedire. Il film mostra come la scuola e la famiglia si trovano inermi davanti a questa realtà.
C’è il fallimento di un modello educativo? O l’incapacità di rispondere alla solitudine dei giovani?
Sì, ci sono entrambe queste cose. Ma c’è soprattutto la ricerca da parte dei giovani di un ideale, a volte religioso, e il bisogno di ordine e di disciplina. La nostra società occidentale è lassista su questi aspetti. Dobbiamo avere più coraggio nel fare vedere la bellezza della nostra fede, dobbiamo fare i missionari all’interno della società, riempire di Dio il vuoto che c’è nell’anima dei giovani. I reclutatori della jihad, trovano terreno facile in tutto questo deserto spirituale: non hanno paura di parlare della loro religione e di distribuire estratti con le parole del Profeta. Fanno quello che dovremmo fare noi nelle scuole, nelle famiglie e nella società, ma che non facciamo per non “scioccare”, per non “forzare”, per non “influenzare”. Perché il politicamente corretto ha ucciso la Verità.
Perché l’utopia terrorista, crudele e disumana, riesce ad attrarre giovani europei?
Prima di tutto perché nel modello che propone è inclusa la disciplina. I giovanni hanno bisogno di disciplina, anche se non ne sono consci. Ma la disciplina è una parte importante della formazione della personalità e dei suoi valori. Orbene, la nostra società è strutturata basandosi sulla mancanza di disciplina, in tutti i suoi aspetti, mentre l’islam è fatto di regole. In secondo luogo, quell’utopia da l’impressione ai giovani coinvolti che avranno potere. E’ facile accarezzare l’ego e la vanità di un giovane che dentro di sé ha il vuoto spirituale. Dobbiamo farci un dovere di riempire quel vuoto, come dicevo prima. Riempirlo con Gesù e con la sua forza e bellezza, altrimenti verrà riempito in altri modi.
È l’Europa che non riesce a dare ragioni di vita buona o è il nichilismo, la cultura della morte, ad essere più attrattiva?
Direi che dobbiamo parlare non solo dell’Europa ma anche degli Stati Uniti: sono due realtà ugualmente colpite dal fenomeno dei foreign fighters. Due realtà basate sul capitalismo. E’ una cosa strana, perché in fondo, con tutti i suoi difetti, il capitalismo rimane il modello migliore e più giusto di vita, in tutta la storia dell’umanità. E’ un sistema basato sul rispetto dei diritti umani, sulla democrazia, sulle pari opportunità, sull’uguaglianza tra uomo e donna. Eppure, qualcuno di questi giovani che apparentemente hanno tutto, sono alla ricerca di ideali lontani dalle loro radici, facendo diventare i paesi capitalisti dei serbatoi di reclutamento dei foreign fighters.
Qual è un messaggio che il film vuole comunicare?
Il messaggio è di speranza: anche se fino adesso le cose sono andate così, non è mai tardi per prendere in mano seriamente l’educazione e la formazione spirituale e psicologica dei nostri giovani, di accompagnarli sulla via giusta, quella della vita, non della morte. Di insegnare loro la bellezza dei Vangeli, che è l’unica fonte che spegne la sete e la forza di Gesù, che è l’unico modello che non tradisce. Avere il coraggio di queste parole. Essere noi stessi testimoni.
Può fornirci un po’ di informazioni su dove e quando il film uscirà nelle sale? 
Negli Stati Uniti, in Canada, Gran Bretagna, Australia e Italia uscirà a novembre, negli altri paesi man mano che avremmo venduto i diritti. I dvd saranno disponibili, in inglese e italiano, da Natale.

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