Soluzione


Che faccia ha un cristiano?
Vivere una fede animata dalla gioia


La prima espressione su cui soffermarsi è la gioia del Vangelo da cui proviene il titolo stesso dell’esortazione, una gioia «che riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù» (Evangelii gaudium - EG 1). È un termine ricorrente nel vocabolario bergogliano, già affacciatosi nell’enciclica Lumen fidei (LF) che attinge ampiamente da Benedetto XVI, dove era presentata come “gioia della fede” (cf LF, nn. 47 e 53).

La mancanza di gioia era proprio la contestazione principale mossa da Friedrich Nietzsche, pensatore rappresentativo dell’uscita da Dio del mondo moderno, in Umano troppo umano: «Le vostre facce sono state per la vostra fede più dannose delle vostre ragioni. Se il lieto messaggio della Bibbia vi stesse scritto in viso, non avreste bisogno di esigere così costantemente fede nell’autorità di questo libro».

Sono i cristiani dallo stile di Quaresima senza Pasqua (cf EG 6). Il riferimento di papa Francesco alla gioia non può essere confuso con le banalizzazioni emozionali dell’esperienza di fede. Lo potremmo più correttamente interpretare, ricollegandoci alla gioia come una conseguenza della luce della fede che illumina tutta l’esistenza umana (cf LF 4).

Una fede animata dalla gioia è la fede di chi ha fatto esperienza di un incontro che lo ha rinnovato interiormente, nell’apertura di un nuovo orizzonte di vita, per cui si trova una profonda fiducia che rimane salda anche nei passaggi tormentati. È la differenza tra la fede autentica e una fede narcisistica e individualistica, un’ideologia in cui l’io si protegge e si gratifica.

«Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore del Cristo risorto» (EG 2).

La contestazione di Nietzsche, a cui papa Francesco indirettamente risponde, denuncia una fede in cui prevale la dimensione dottrinale, ma di cui si rischia di perdere di vista il fondamento spirituale e che diviene di conseguenza autoreferenziale. Non a caso EG 4 e 5 presentano una rassegna degli inviti biblici alla gioia.

Il problema dei cristiani nel mondo contemporaneo non è la competizione con chi non crede o crede in una fede diversa, bensì avere un cuore che si piega al Vangelo e non alle tentazioni idolatriche, anche in forma religiosa. È un problema che si coglie quando si incontrano persone che si sono armate dentro e si presentano con una veste di perfetta ortodossia, ma non vivono la prossimità, chiudendosi anche all’incontro con Dio.
 
L’evangelizzazione non è un fatto di persuasione dell’altro, ma innanzi tutto di conversione del cristiano che conduce una vita pienamente umanizzata (cf EG 8) e in tal modo è testimone anche quando non si dichiara tale. La fede cristiana è realizzazione dell’umano e non fuga da esso. Il cristiano sa relazionarsi con gli altri e con le cose nella logica della comunione e non del possesso predatorio.

L’evangelizzazione ritorna sempre al Vangelo che non si esaurisce in formule e prassi codificate una volta per tutte, come se fosse una verità che i cristiani possiedono e si limitano a trasmettere agli altri; invece la sua ricchezza e la sua bellezza sono inesauribili e fonte costante di novità (cf EG 11) da discernere nel legame con la memoria della tradizione, in una storia viva che è maturazione dei frutti propri di ciascuna stagione alimentati dalla sua linfa.
  
 
Christian Albini
 

(articolo tratto da sperarepertutti.typepad.com)

Commenti