di Fra Vincenzo Ippolito

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Raggiungere e donarsi anche quando non si è compresi

Nella relazione di coppia bisogna vivere anche lo scandalo di non essere riconosciuti, ma questo non deve bloccare il nostro rivelarci come dono per l’altro. Mai nascondere la nostra vera identità all’altro, ma guidarlo a riconoscerci ed accoglierci per quello che siamo e per ciò che abbiamo da donare di noi.

Dal Vangelo secondo Matteo 14,22-33
Dopo che la folla ebbe mangiato, subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.
La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».
Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

Dopo la festa della Trasfigurazione che ha interrotto, per una domenica, il ritmo del Tempo ordinario, ritorniamo alla navigazione abituale, sorretti dalla parola del Vangelo che ci spinge sempre verso il largo. Seguendo il ritmo della liturgia, passiamo dalla stabilità del monte della Trasfigurazione (cf. Mt 17,1-9) alla instabilità del mare, dove, in questa domenica, siamo invitati a fare l’esperienza della bonaccia che Cristo sempre dona alle acque agitate della nostra storia.
La pedagogia di Gesù
Le prime battute della pericope odierna ci offrono di inquadrare il contesto del brano, recuperando ciò che non è stato letto e meditato la scorsa domenica, quando, per celebrare la festa della Trasfigurazione del Signore, abbiamo saltato la narrazione del miracolo operato da Gesù con la moltiplicazione dei pani e dei pesci (cf. Mt 14,13-21). A ben vedere l’espressione “Dopo che la folla ebbe mangiato” non è contenuta nel testo del Vangelo, ma è un’aggiunta – si pensi all’introduzione In quel tempo, con cui iniziano solitamente i brani evangelici proposti dalla liturgia – chi ha curato l’edizione del Lezionario domenicale ha cercato, con questa breve frase introduttiva, di farci meglio comprendere la sequenza dei fatti narrati dall’Evangelista. Chiarito il contesto – la moltiplicazione dei pani e dei pesci – l’Autore scrive “subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla” (v. 22). Sulle prime, leggendo il testo, vediamo sorgere in noi tante domande: perché mai il Maestro costringe i discepoli ad andare via? La costrizione non è certo una cosa buona! Perché l’Evangelista sottolinea che tutto è fatto subito? La fretta del Maestro sembra fuori luogo, vista la compassione dimostrata nei riguardi delle folle (cf. Mt 14,13)! Se leggiamo con attenzione quanto l’Evangelista riporta in seguito, comprenderemo quanto superficiali siano le nostre domande e infondate le nostre paure.
In primo luogo dobbiamo sottolineare come Gesù, Maestro e Signore, con il suo comando, doni concrete indicazioni ai suoi discepoli, evitando che l’accalcarsi della folla li blocchi, impedendoli nel continuare il loro cammino. Si tratta della pedagogia di Gesù che caratterizza spesso anche le dinamiche educative nelle nostre famiglie. Le costrizioni, i comandi non sono affermazioni di principio motivate dall’autorità che si esercita, ma il segno della cura e della custodia che deve scandire la dinamica educativa. I discepoli hanno bisogno di essere guidati, sono come pulcini nella stoppa, spaesati ed incapaci di orientarsi, richiedono, pur senza averne consapevolezza, delle chiare parole di orientamento e di guida. In secondo luogo, il Maestro spinge gli apostoli in avanti, non vuole che le folle, rinfrancate nel cuore con il suo insegnamento e nel corpo dai pani e dai pesci moltiplicati, impediscano la crescita e il prosieguo del cammino. Cristo chiede loro di partire e si accolla lui la responsabilità e l’onere di congedare la folla. È questo un altro tratto della custodia e della vigilanza di Gesù nei riguardi dei suoi discepoli. Il Maestro non evita la difficoltà, quanto, invece, comprende che non è ancora il tempo per i discepoli di misurarsi con i desideri delle folle. Verranno i tempi in cui, con l’autorità e la potenza del Risorto, dovranno stare in mezzo alle genti ed annunciare, con la parola e le opere, le grandi cose che Dio compie in loro e per loro, ma ora non sono ancora maturi nella fede e pronti con il cuore.
Dare indicazioni chiare e saper discernere i tempi opportuni: sono questi due tratti significativi di una relazione educativa mirata alla crescita, guidata dal vero bene, motivata da cura ed attenzione grande. È importante, infatti, indicare con chiarezza la strada da percorrere talvolta anche da soli, facendo una parte del cammino in obbedienza a quanto ci è stato donato. Anche questi momenti servono per vedere dove i discepoli sono in grado arrivare, dove noi riusciamo a giungere, mettendo a frutto le indicazioni ricevute dal Signore. Custodire non vuol dire evitare le difficoltà del mare, ma spingere le persone a noi affidate a mettere a frutto le proprie energie, a saper trafficare i talenti ricevuti, senza metterli sotto terra. Nella relazione educativa, è necessario saper calcolare i tempi, proprio come fa Gesù, sia per essere tra la gente, sia anche per ritirarsi. C’è un tempo per ogni cosa, dice il saggio Qoèlet (3,17), ma i tempi opportuni o meno vanno insegnati, perché si impari la difficile arte del discernimento. Quanto tempo noi sprechiamo in attività inutili o in rapporti che non costruiscono nulla! Gesù evita che i suoi perdano tempo e riserva per loro ciò che è necessario in quel determinato momento. È importante guardare a Gesù per imparare l’arte dell’educazione e della custodia, della guida e della vigilanza. Da una parte il Maestro lancia i discepoli nel mare aperto, dall’altro li custodisce dalla folle, li obbliga a non indugiare e a rimettersi in cammino, mentre si espone Lui in prima persona con la gente che si accalca. L’armonia è l’arte da chiedere al Signore sempre, fare in modo che la bilancia non penda solo da un lato, ma che sia ben in equilibrata. È vero, talvolta si tratta di un equilibrio instabile, perché non è semplice rimanere vigili e discernere il bene da chiedere ed attuare. Noi siamo in continua ricerca per fare in modo che il nostro amore non imbrigli, ma lascia liberi e permetta di crescere per arrivare all’indipendenza che è il fine da raggiungere sempre nell’educazione.
C’è un aspetto del rapporto di Gesù con i discepoli da ripensare anche nell’educazione dei nostri figli ed è l’obbedienza. Oggi si crede che non sia più una virtù – il titolo scelto da don Lorenzo Milani per un suo libro lo ricordava già molti anni fa – ma è chiaro che quando si parla di obbedienza non si tratta di affermazione di autorità e neppure di un giustificato esercizio di un potere dispotico, quanto, invece, di ciò che la credibilità dell’amore genera nel cuore e nella vita dell’altro/a. Il vero problema, infatti, non è ascoltare e fare quanto ci viene chiesto, ma credere nella persona che mi sta parlando e considerare che lei cerca il mio vero bene, anche se io non me ne rendo conto. Questo è possibile se, nella dinamica educativa, si innesca quella sincera e amorosa ricerca del vero, del giusto e del bello che porta a crescere secondo Dio nel modo migliore. È di fondamentale importanza il dialogo non come mezzo per convincere dell’opportunità di una richiesta fatta, ma quale luogo del discernimento. È nel dialogo che si ricerca la verità e ci si aiuta ad allargare le proprie vedute, nella condivisione e nello scambio. È inutili fare muro contro muro, perché un figlio deve sentirsi amato sempre, anche quando talvolta non si condividono le sue scelte. Anche allora è importante guardarlo da lontano, senza mai abbandonarlo. È necessario, infatti, custodire nel giusto modo i propri figli, mai esasperarli perché non si scoraggino (Col 3,21), oppressi da mille attenzioni fuori luogo. È sacrosanto amare, ma farlo nel modo giusto e con tempi convenienti. I figli crescono e noi con loro, non possiamo credere che abbiamo sempre bisogno delle cure che gli prestavamo un tempo, quando erano piccoli.
Vivere nella tempesta, guardando al Signore
Il Maestro, congedata la folla, non raggiuge subito i discepoli, ma dedica del tempo alla preghiera solitaria e prolungata. Matteo lo lascia intendere, dicendo “Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo” (v. 23). Gesù sente il bisogno di ritirarsi sul monte, senza che nessuno distragga il suo dialogo filiale con il Padre. In questo modo l’Evangelista mostra come la vita del Figlio di Dio fatto uomo sia bene armonizzata tra i tempi di annuncio e quelli di silenzio orante. È vero, ci sono momenti nei quali non si ha il tempo neppure di mangiare (cf. Mc 3,20), ma il desiderio del cuore di Cristo è quello di vivere in relazione con il Padre e in relazione con i suoi discepoli e con le folle. Si tratta di bisogni diversi che Gesù riesce a vivere, tempi che Egli si ritaglia e concede in quell’armonia che non è ricercata assecondando il proprio egoismo, ma facendosi portare da ciò che l’amore vero chiede e che la volontà del Padre vuole. Tempo per se stessi, per il rapporto di coppia, per vivere momenti di intensità familiare con i figli: questo è necessario ricercare e vivere nella pausa estiva, abituandoci a questo ritmo che deve scandire sempre la nostra vita. Non siamo delle macchine che procedono ad oltranza, ma abbiamo bisogno dei nostri spazi, dei nostri tempi per essere rigenerati e rigenerarci nell’amore con la persona che ci sta accanto e con i figli che il Signore ha voluto donarci.
Mentre il Maestro è sul monte, i discepoli in barca sperimentano il vento contrario e le onde agitate (cf. Mt 14,24). Alcuni di loro, da uomini di mare, avranno dimostrato dimestichezza nella navigazione, pur tra i morosi. L’Evangelista, infatti, non appunta nessuna paura, diversamente da altre pagine evangeliche, nelle quali la voce dei discepoli è unanime nell’invocare il Signore (cf. Mc 4,35-41). La paura e lo sconvolgimento si verifica quando gli apostoli vedono che Gesù li sta raggiungendo, camminando sul mare. Non sono i dodici che richiedono un intervento potente del Maestro, ma è Lui che li raggiunge e abita la tempesta che mette in difficoltà il buon esisto della loro navigazione. Si tratta di une elemento ricorrente nella Scrittura. In tempi maggiormente problematici, quando si sperimenta il pericolo – si pensi al cammino del popolo nel deserto – Dio interviene con potenza, stende la sua destra e manifesta il suo intervento liberatorio. Proprio nell’intervento non atteso del Signore i discepoli vivono lo sconvolgimento interiore, superiore a quello del mare nel quale si trovano a navigare. Raggiunti dal Maestro, sono chiamati a riconoscerlo vivo e vero nella loro vita, non possono vincere la tempesta se Gesù non è con loro, la navigazione non può giungere a buona destinazione se il Cristo non li raggiunge e manifesta, nella loro debolezza, la sua misericordia. Ci sono dei momenti nella nostra vita nei quali siamo convinti oppure ci convinciamo di poter procedere da soli, stringendo i denti e facendoci forti. Anche nel cammino di fede viviamo così tante difficoltà e cerchiamo con la nostra volontà di abitare le situazioni problematiche della vita e sperare in una tempestiva bonaccia. Il sereno non è il frutto del nostro impegno, ma della presenza di Gesù. È Lui la pace (cf. Ef 2,14), Lui la serenità e la bonaccia, Lui la gioia vera che il cuore nostro desidera. I discepoli devono rendersi conto di questo: potranno anche vivere le persecuzioni più ingiustificate, le avversità più ingiuste, ma non saranno mai soli, verranno raggiunti dalla presenza di Cristo, sempre. Non c’è navigazione che noi intraprendiamo in obbedienza alla parola di Gesù che ci porti a vagare soli, come delle trottole, rigirandoci su noi stessi. Quando noi crediamo che non ci siano più speranze, che le vie di uscita siano tutte sbarrate, proprio allora il Signore misteriosamente interviene, non secondo i nostri desideri, ma secondo i nostri veri bisogni. Gesù legge le necessità ed interviene. Egli, infatti, conosce bene le cose di cui noi abbiamo bisogno, prima ancora che le chiediamo (cf. Mt 6,8) e si manifesta, potente operatore di prodigi, quando più ne abbiamo bisogno.
Gesù è il Dio potente, che fa cose straordinarie
Il Signore conosce le necessità e i bisogni dei suoi, non asseconda le richieste inutili che gli vengono presentate, né esaudisce la voce di chi è mosso da interessi di parte, si pensi a Giacomo e Giovanni (cf. Mt 20,21). Egli dimostra di essere e di voler essere libero di intervenire quando crede opportuno e di operare secondo il nostro vero bene, pronto sempre a manifestare la sua onnipotenza quando noi abbiamo reale bisogno di Lui. È bello vedere che Gesù si prende cura dei suoi, che li raggiunge camminando sul mare, che vive il desiderio di non abbandonarli, ma di essere presente nelle tempeste che vivono, quando credono di potersela cavare da soli. È questo che rende viva la preghiera del Maestro e ci dona di non vederla come una ricerca di una pace solo per sé. Gesù unisce sempre preghiera e vita, si immerge nell’abbraccio del Padre, ma, sceso dal monte, non ricusa di abitare la tempesta che angustia i discepoli, anche se questi non si rendono conto della gravità del momento. Raggiungere è uno dei verbi cardini di ogni autentica relazione educativa. Gesù non solo attende i suoi discepoli in momenti determinati, ma si mette in marcia e li scova lì dove loro si trovano, vivendo quella dinamica che Egli ha fatto propria con l’incarnazione, quando ha lasciato il seno del Padre e ci ha raggiunti, nella vera carne della nostra umanità e fragilità, facendosi uomo nel seno di Maria. Quando obbediamo a Dio, quando la sua parola, come nel caso di Abramo (cf. Gen 12,1), ci scardina dalle nostre sicurezze e ci chiede di intraprendere un viaggio per noi incomprensibile ed umanamente impossibile, anche allora Gesù non solo ci domanda di prendere il largo e di vincerci, rinegandoci, ma poi prega per noi e ci raggiunge, perché la sua mano possa sostenerci e la sua presenza tranquillizzarci.
Lasciare che Gesù ci raggiunga, quando a Lui piace e come a Lui piace è il nostro grande impegno, saper attendere e vivere nella speranza è possibile solo a chi, come le vergini sapienti (cf. Mt 25,4), ha portato con sé l’olio dell’amore e della fedeltà. Gesù “sul finire della notte, andò verso di loro camminando sul mare” (Mt 14,25). Quanto è necessario, nel cammino di crescita, vivere la notte! Non siamo mai soli, Dio continuamente ci veglia e ci custodisce come la pupilla degli occhi (cf. Sal 17,8), ma è nella notte che siamo chiamati a vivere la fedeltà al comando ricevuto, aspettando, come la sentinella il mattino, la venuta del Signore e ripetendosi con il salmista “ancora potrò lodarlo, lui salvezza del mio volto e mio Dio” (Sal 42,6).

Gesù cammina sul mare, sulle mie difficoltà domina con potenza, perché Egli è il vinto e il vincitore, vincitore perché vinto, sì, vinto dalla pienezza dell’amore di Dio, dal fuoco dello Spirito che dentro lo divora e vincitore in ogni mia battaglia per l’amore che riverbera dal suo cuore di Figlio unigenito, totale compiacenza del Padre, vincitore perché la croce è il modello di ogni sua battaglia, vinta dal suo amore che si traduce per noi in misericordia e perdono. Il Maestro nella mia vita calpesta leoni e vipere, schiaccia leoncelli e draghi (cf. Sal 90,13), nulla può resistergli, perché Egli è “il Signore dei signori, il Dio grande, forte e terribile” (Dt 10,17). Con Lui non deve temere nulla. “Se contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme; se contro di me si scatena una guerra, anche allora ho fiducia” (Sal 27,3). Dobbiamo riconoscere gli interventi potenti del Signore nelle nostre difficoltà, non scambiarlo per un fantasma, come i discepoli, solo perché non siamo abituati al suo entrare nella nostra vita come il Signore, potente operatore di prodigi, pronto a stendere il suo braccio e donare la pace. Perché gridare dalla paura? Non ci accorgiamo che Egli viene per rimanere in mezzo a noi, per salvarci dalla difficoltà, per dimostrarsi nostro Dio e Signore? Quante volte lo invochiamo perché intervenga e poi, una volta venuto, non lo riconosciamo! Gesù è il Signore, il mio Signore, il mio Redentore, colui che divide il mare per il popolo che esce dalla schiavitù dell’Egitto e lo richiude, lasciando che i flutti sbaraglino gli eserciti nemici.
Gesù cammina sul mare, dimostrandosi nostro salvatore quando infuria il vento della discordia in famiglia, quando le onde sembrano mettere in pericolo la nave dell’armonia coniugale. Egli interviene perché ci ama, si preoccupa di noi, perché questo è il comando ricevuto dal Padre. Se riuscissimo anche noi, alla scuola di Gesù ad abitare le tempeste delle persone che ci sono vicino e amare! Quante volte, invece di raggiungerci, scappiamo, vediamo gli altri in pericolo e, come il profeta Giona, corriamo dall’altra parte. Darsela a gambe non è del discepolo di Gesù che corre sempre quando è chiamato e si mostra sollecito, anche se non atteso. Raggiungere e donarsi sono i verbi che ritmano la relazione che Gesù vive con i discepoli, anche quando non è compreso, né accolto, anche quando non è riconosciuto e creduto un fantasma. Nella relazione di coppia bisogna vivere anche lo scandalo di non essere riconosciuti, ma questo non deve bloccare il nostro rivelarci come dono per l’altro. Mai nascondere la nostra vera identità all’altro, ma guidarlo a riconoscerci ed accoglierci per quello che siamo e per ciò che abbiamo da donare di noi.

È la voce che rasserena il cuore e lo rende capace di riconoscere la presenza del buon Pastore. Il suo “Coraggio, sono io, non abbiate paura” (Mt 14,27) conduce i discepoli a vincere il timore e aprirsi all’accoglienza. Quante sono importanti le parole nelle nostre relazioni! Sono capaci di donare la resurrezione come anche di aprire le porte degli inferi e liberarci dalle pene più grandi. Spesso – ahimè – sono anche causa di dolore perché, invece di risollevare, accusano e mostrano i limiti che l’altro/a sta vivendo. Dobbiamo imparare da Gesù a non guardare a noi e a non fermarci al fatto di non essere riconosciuti, ma di tenere fisso lo sguardo sul bene dell’altro/a, sul come poter vincere le sue paure, su come operare la liberazione e dargli la pace. Nelle relazioni educative, come in ogni tipo di relazione, non possiamo pensare a difendere noi stessi e la nostra immagine, ma a chiederci in che modo operare il bene delle persone che ci sono state affidate. A che serve pensare a sé, mentre l’altro vive nella tempesta? Maturità è sapere mettere da parte la propria delusione di non essere stato riconosciuto nel dono di noi stessi, per far posto all’altro/a e al suo vero bisogno. Amore è far spazio all’altro sempre, in caso contrario non stiamo camminando sulla strada dell’amore, ma sulla via dell’egoismo.
Guardare sempre a Gesù
Camminare sul mare delle difficoltà e delle potenze oscure delle tenebre è quanto il Signore permette di fare anche a noi, come all’apostolo Pietro. Egli non è geloso della sua onnipotenza, ma è pronto a concederla a quanti, con umiltà, chiedono di partecipare al suo combattimento contro lo spirito del male. Dominare e limitare il mistero delle tenebre comporta da parte nostra una fiducia incondizionata in Gesù e la volontà di seguirlo. Come Pietro si cade, la paura ci divora ed il timore prevale nel cuore, quando distogliamo gli occhi dal Signore. Ma anche allora Gesù è e resta il Salvatore, perché anche “se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso” (2Tim 2,13). Mai credere di potersi destreggiare da soli nelle difficili situazioni della vita. Solo Gesù, che è il Signore, può donarci la liberta e salvarci dal buio del cuore che, peggiore delle tempeste esteriori, può sconvolgere la pace nelle nostre famiglie. Per essere salvati, basta invocare il suo aiuto e afferrare la sua mano che per noi forza, sicurezza e liberazione vera.

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