Soluzione
Strategie non violente per ridurre il terrorismo
Contro l’estremismo violento


Nel messaggio per la Giornata mondiale della pace 2017, dal titolo «La non violenza, stile di una politica per la pace», papa Francesco ha invitato tutti, e ovunque, a praticare la non violenza, sottolineando che «la non violenza praticata con decisione e coerenza ha prodotto risultati impressionanti». Nel suo messaggio il santo padre ha evidenziato la natura distruttiva della violenza, anche quando apparentemente vi si ricorre per giuste cause, e ha ribadito che i suoi effetti negativi spesso si protraggono per generazioni. Il pontefice ha citato il terrorismo tra i flagelli globali che hanno provocato grande sofferenza, distruggendo vite di civili innocenti e scatenando il caos in luoghi come l’Iraq, l’Afghanistan, la Somalia, l’Europa e gli Stati Uniti.
 
                                 
Affrontare le cause alla base del conflitto violento
 
Il messaggio del papa e l’impegno costante della chiesa per porre al centro la non violenza evangelica suscitano una domanda ovvia: quanto possono essere efficaci approcci non violenti contro organismi non statali che deliberatamente prendono di mira con orribile violenza i civili, mettendo in scena decapitazioni e attentati suicidi?
 
Mentre molte delle risorse statunitensi e internazionali sono impiegate nella lotta contro il terrorismo e la violenza estremista utilizzando mezzi militari (non ultimi i controversi attacchi con i droni), persino generali americani di alto rango riconoscono che la forza militare da sola non è sufficiente per indebolire – e ancor meno per sconfiggere – l’ISIS. Gli attacchi militari non fanno nulla per risolvere le tensioni sottostanti, come la corruzione sistemica, la repressione e l’esclusione che danno origine ad organizzazioni terroristiche e alimentano il loro reclutamento.
 
Nel suo messaggio per la pace, papa Francesco ha messo in luce l’importanza di queste realtà: «Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo».
 
Anche quando gli attacchi militari riescono ad eliminare i capi dei gruppi terroristici e distruggono parti della loro infrastruttura, non possono affrontare le ingiustizie che la alimentano. Risposte violente al terrorismo sono insufficienti nella migliore delle ipotesi, e ancor più spesso controproducenti. Giocano ruoli importanti per soluzioni non violente delle strategie, come la resistenza civile, volte a sciogliere le cause del terrorismo negando la legittimità e il supporto alle organizzazioni terroristiche. La resistenza non violenta, un metodo di lotta in cui comuni cittadini si servono del potere sociale, economico e politico senza la minaccia o l’uso della violenza, ha avuto successo in contesti molto diversi.
 
Per esempio, l’uso coordinato di scioperi, boicottaggi, proteste, la mancata cooperazione collettiva e centinaia di altre tattiche non violente ha avuto la meglio nelle lotte popolari contro le dittature in Sudafrica, Filippine e Tunisia. Così è stato anche nelle campagne contro la corruzione sistemica in Egitto, Guatemala e Romania, e in campagne contro gruppi armati non governativi in Colombia, Siria e Afghanistan. Negando agli avversari il consenso e l’obbedienza necessari, facendo salire i costi di mantenimento ed espansione del potere, la resistenza non violenta può sfidare anche gli avversari più temibili.
 
 
La potenza di una caparbia azione collettiva non-violenta rivolta contro attori non statali
 
Cosa succede quando l’avversario non è un regime repressivo, ma un attore non statale come un’organizzazione terroristica? In gran parte, vale lo stesso discorso. Le organizzazioni terroristiche hanno bisogno di legittimità, fondi e risorse umane (esperti tecnici, propagandisti, reclutatori, fornitori di servizi, soldati ecc.) per consolidare ed espandere il loro potere. La lealtà di questi individui non è monolitica o immutabile. Mentre la mancata cooperazione collettiva potrebbe non essere possibile in aree direttamente sottoposte al controllo di gruppi terroristici, l’organizzazione dei cittadini può esercitare pressione e influenzare il comportamento, inclusa l’abilità di attirare nuove reclute.
 
In Iraq, il tentativo di demolizione della grande moschea di Mosul da parte dell’ISIS è stato sventato quando i seguaci di un famoso imam hanno circondato la moschea, incrociando le braccia e rifiutando di andar via fino alla ritirata dell’unità di demolizione dell’ISIS. Ci sono stati anche casi documentati di individui che hanno abbandonato l’ISIS in Iraq e Siria, dopo aver compreso che la resistenza non era quella che si voleva far credere. Lavorare con e attraverso i disertori e le loro famiglie, fare in modo che la loro voce sia ascoltata, è uno degli strumenti non violenti più potenti nella lotta ai gruppi estremisti.
 
 
Smascherare il nemico, oltre il confronto diretto: il ruolo della satira e delle contronarrazioni
 
Realisticamente, tuttavia, il confronto diretto con i terroristi non funziona in molti casi, specialmente quando gli attacchi sono imminenti. Eppure, l’utilità strategica di identificare le fonti del potere morale e materiale dell’ISIS e di altre organizzazioni terroristiche e di colpirle con un’azione collettiva non violenta rimane rilevante. Ciò è particolarmente vero nel caso dell’ISIS, il cui obiettivo strategico è quello di stabilire un califfato islamico.
 
A tal fine ha bisogno di conquistare e mantenere il territorio che, a sua volta, richiede notevoli quantità di materiale e risorse umane per eseguire funzioni di base del governo. L’ISIS si basa su strutture religiose, istituti finanziari e imprese per fornire all’organizzazione beni e provviste. Tutte queste istituzioni sono potenziali bersagli della non cooperazione. L’incapacità dell’ISIS di fornire servizi di base e di governo potrebbe rivelarsi il suo tallone d’Achille, specialmente se intere comunità vi si ribellassero.
 
Nella misura in cui l’ISIS combina indottrinamento ideologico, terrore e una burocrazia sofisticata per mantenere il dominio totale sulle popolazioni, si configura come un regime totalitario. Nei suoi numerosi scritti sul totalitarismo, la filosofa tedesca Hannah Arendt ha concluso che la più grande minaccia ai regimi totalitari è l’attività autonoma e indipendente dei cittadini.
 
Negli ultimi tempi, la satira avente per oggetto l’ipocrisia e l’immoralità delle azioni dell’ISIS ha imperversato sui media arabi. Tale umorismo, quando sviluppato da rispettati capi arabi e musulmani, sfida la legittimità delle parole e dei gesti dell’ISIS, abbattendo le barriere della paura. L’umorismo fornisce alle persone – fuori dalle zone controllate dall’ISIS – i mezzi per dissentire senza sfidare direttamente le organizzazioni terroristiche. Naturalmente, i responsabili di produzione di tali programmi sono vulnerabili agli attacchi, alla repressione o ad altri scenari peggiori. Amplificare la loro voce e il talento satirico è una potente forma di resistenza non violenta all’ISIS e ad altri gruppi terroristici.
 
Un’altra risposta non violenta comprende lo sviluppo di contronarrazioni efficaci rispetto a quelle di ISIS, Boko Haram e altri gruppi terroristici. Tali narrazioni, costruite da rispettati leader locali, dovrebbero riconoscere la legittimità della lotta contro le ingiustizie e l’oppressione, criticando l’inutilità dei metodi terroristici. Una contronarrazione enfatizzerebbe un metodo alternativo di lotta, che ha radici profonde nell’islam e ha dimostrato di essere efficace.
 
 
Conclusione
 
Mentre non vi è alcuna soluzione miracolosa al flagello del terrorismo globale e dell’estremismo violento, vi sono approcci non violenti che sono efficaci ed esponenzialmente meno costosi – in termini di vite e investimenti – rispetto alle risposte militari. Sostenere una risoluzione di conflitti condotta a livello locale, investendo in contronarrazioni diffuse dai media e in sistemi educativi, sostenere la resistenza non violenta all’ingiustizia e rafforzare la resilienza e l’auto-organizzazione di comunità locali rappresentano alcune delle possibilità.
 
La dichiarazione finale della Conferenza su non violenza e pace giusta, tenutasi a Roma nell’aprile 2016 e sponsorizzata dal Vaticano, ha auspicato maggiori investimenti da parte della chiesa in strumenti pratici e risposte per prevenire, mitigare e trasformare il conflitto violento. L’iniziativa di non violenza cattolica, un progetto di Pax Christi International nato da quella conferenza, è dedicato a tale scopo. Materiali educativi e formativi sono ora disponibili in almeno 55 lingue. L’U.S. Institute of Peace, l’International Center on Nonviolent Conflict, Nonviolent Peaceforce, l’American Friends Services Committee e i Christian Peacemakers Teams sono organizzazioni specializzate nella trasformazione non violenta dei conflitti.
 
Organizzazioni locali quali Pax Christi, Mercy Corps, Caritas Internationalis e Catholic Relief Services sono nella posizione di fornire materiali educativi e formativi sull’organizzazione non violenta in zone di conflitto sparse per il mondo. Attraverso la promozione e il supporto di sforzi volti alla pacificazione e alla giustizia sociale, la chiesa cattolica gestisce molteplici risorse morali e materiali per sfidare le ingiustizie che danno vita al terrorismo. Sostenendo la dignità, i diritti, la pace e la resistenza non violenta attraverso i suoi insegnamenti, l’istruzione, l’influenza politica, i programmi condotti sul campo, la chiesa cattolica può fornire vie concrete per sconfiggere il terrorismo alla radice.

 
Maria J. Stephan
 

(articolo tratto da www.queriniana.it)

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