....Che il Signore ci spinga all’autenticità,
ci doni di non fermarci alle parole ma, con semplicità e coraggio,
ci conceda di gridare il Vangelo con la nostra vita.
Solo così potremo diventare figli di quel Dio
che continuamente cerca l’uomo per svelargli il suo amore.
di Paolo Curtaz
Il nostro Dio è come il padrone della vigna della parabola di domenica scorsa: cerca gli operai rimasti senza lavoro e, dopo averli fatti lavorare un’ora soltanto, li premia dandogli il necessario per vivere assieme alla loro famiglia. Un modo colmo di dignità per aiutare questi poveretti.
Ma, come annotano gli operai che hanno lavorato fin dal mattino e ricevono la stessa paga, questo comportamento è ingiusto, incomprensibile.
Forse anche noi, come i deportati in Babilonia che si lamentano di espiare la colpa dei padri, ce la prendiamo con la logica di Dio. Ed Ezechiele, anch’egli prigioniero dei babilonesi, invita loro e noi ad assumere una logica diversa, quella di Dio.
Scavando dietro l’apparenza abbiamo scoperto che la presunta giustizia degli operai della prima ora, in realtà, era una rabbia mal sopita che si sfogava contro gli operai dell’ultima ora, togliendo loro l’essenziale per vivere.
Non c’è nulla da fare: se vogliamo davvero seguire il Dio di Gesù Cristo dobbiamo continuamente convertire la nostra prospettiva per allargare il nostro orizzonte ed accogliere il modo nuovo di essere credenti. Un modo che ha una caratteristica assoluta, principale, non negoziabile: l’autenticità.
A saper leggere il vangelo si resta spiazzati dal fatto che Gesù, prima del peccato, detesta un atteggiamento molto diffuso fra i devoti di ieri e di oggi: l’ipocrisia.
Belle mascherine
Mentre scrivo sento, in cortile, il trattore di mio fratello che sta portando i grappoli d’uva a macinare.
Sono giorni di vendemmia in casa mia e pur essendo un impiegato di concetto (!) porto nel DNA un po’ della tradizione vinicola famigliare.
L’odore forte del mosto che inizia a fermentare e invade la tromba delle scale mi riporta ai bei ricordi della vendemmia con mio nonno, i giorni in cui le mani erano sempre macchiate dal succo degli acini che noi bambini ci divertivamo a mordere direttamente dal grappolo, prima di gettarli nella cesta.
È un rapporto intimo quello del vignaiolo con la sua vigna: lo vedo nello sguardo concentrato e preoccupato di mio fratello che corre da un filare all’altro per coordinare il lavoro di chi vendemmia, attento a non perdere il frutto di un faticoso anno di lavoro.
Spesso, nella Bibbia, il rapporto fra Dio e il popolo prende forma a partire dall’immagine della vigna:è Dio il vignaiolo che cura con passione la vite.
Dio che ci chiede di andare nella sua vigna a lavorare è la testimonianza dell’intimità che Dio intende intessere con noi.
Il primo figlio risponde subito alla chiamata del padre. Ma in realtà non va alla vigna.
La parabola non ci dice che cambia idea o che incontra un amico o che ha un contrattempo, non ha proprio nessuna intenzione di andare, fin dall’inizio.
Il suo è un atteggiamento puramente esteriore, la richiesta del padre non lo scomoda, non lo interpella minimamente. Come la nostra fede, troppo spesso fatta di esteriorità, di facciata, di riti senza conversione.
Certo, è Dio che legge nei cuori, ma quante volte si resta spiazzati nel vedere nelle nostre celebrazioni manifestazioni di fede molto più simili alla superstizione che alla conversione!
Dio non ama le finte devozioni, non ama la falsità.
Peccatori
Dio, dice il Signore, preferisce il fratello che nega la sua presenza.
Quante volte un “no” è la manifestazione di un disagio, una velata domanda di chiarimento, uno sprone al dialogo!
Quante volte ho incontrato delle persone che si dichiaravano atee, che dicevano “no” a Dio. Ma, al di là dell’apparenza, dialogando, ascoltando, usciva fuori che il “no” era a qualcos’altro.
No ad una fede fatta di ipocrisia. No ad un Dio incomprensibile che si disinteressa all’uomo. No agli uomini di Chiesa che dimenticano la misericordia.
No.
Eppure, una volta messi davanti ad un volto di Dio diverso, per alcuni il “no” diventa un “sì” inatteso e pieno.
Come il fratello della parabola.
Ustioni
La conclusione di Gesù brucia: le prostitute e i pubblicani vi passano davanti.
Ci passano davanti.
Il loro rifiuto è stato definitivo e drammatico, hanno detto “no” alla religiosità riservata ai puri. Ma le loro certezze, ora, si sbriciolano davanti al Nazareno che parla di Dio sorridendo.
Per gli altri, per i devoti!, chi sbaglia è segnato a vita.
Per Dio non è così e fa diventare testimoni e discepoli anche i peccatori pubblici.
Che stupore! Che fatica! Che sberla!
Noi, operai della prima ora, figli amati dal padre, lasciamo che la Parola ci metta alle corde, che converta i nostri cuori, perché i nostri “sì” siano sempre autentici.
Anch’io come il figlio della parabola dico: «Non ne ho voglia, Signore. Essere discepolo, lavorare nella vigna che è la Chiesa è faticoso e ci sono momenti in cui senti che non ce la fai e non ha senso quello che fai. Gridare il Vangelo con la vita è impegnativo. Preferisco galleggiare, preferisco vivere come tutti. Ma, a pensarci bene, forse ancora qualche giorno nella vigna lo posso passare…».
Che il Signore ci spinga all’autenticità, ci doni di non fermarci alle parole ma, con semplicità e coraggio, ci conceda di gridare il Vangelo con la nostra vita.
Solo così potremo diventare figli di quel Dio che continuamente cerca l’uomo per svelargli il suo amore.
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