Gesù vide un uomo, chiamato Matteo,
seduto al banco delle imposte, e gli disse:
«Seguimi».
Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli:
«Come mai il vostro maestro mangia
insieme ai pubblicani e ai peccatori?
«Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati.
Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».
In casa di Matteo il pubblicano,
in quella di Zaccheo il corrotto,
in fila per il Battesimo tra i peccatori confessi.
In confidenza con ladri e traditori,
in difesa dell’adultera,
tra le mani di una peccatrice pubblica.
Lungo il territorio dei pagani,
dentro ai traffici del tempio,
a colloquio coi principi dell’ipocrisia.
Ad ascoltare bene i Vangeli,
Colui che viene passa gran parte della sua vita pubblica
immerso nei peccati e in compagnia dei peccatori.
Sceglie di farlo nel modo più scandaloso e inatteso,
perfino imbarazzante, stabilendo con loro una parentela stretta
come e più che coi suoi familiari.
Lui appartiene a loro e loro a Lui. Senza precauzioni,
senza distanze igieniche, senza mezzi termini.
senza distanze igieniche, senza mezzi termini.
Si mescola, si confonde, se ne impregna.
Lo fa a tal punto da finire con l’essere considerato uno di loro,
poco credibile agli occhi dalle autorità,
condannabile dai custodi della Legge.
Colui che viene, viene per i peccatori.
Il Suo restare con loro fino a non distinguersene più
è la strada che sceglie per portarli con sé in quel Regno
da cui si diceva fossero esclusi.
Muore come un peccatore tra i peccatori,
maledetto tra i maledetti,
senza Dio tra i senza Dio:
missione compiuta, dunque.
La vita che segue quella morte, infatti,
dice che Dio è proprio là dove appare la Sua negazione
e che proprio coloro che gli uomini intendono,
in Suo nome, maledire sono invece oggetto della Sua salvezza.
Il Vangelo – tutta la Scrittura, a dire il vero –
racconta il rapporto tra l’operare di Dio e il nostro nei termini
di un intreccio più che di una giustapposizione,
come se il confine tra le due cose fosse così labile
da essere indistinguibile.
Ciò anche nei momenti in cui il nostro agire
non è certo alla Sua altezza –
ammesso che possa mai esserlo –
anche dal punto di vista morale.
Questo è l’accadere più evidente
della sua misericordia e pazienza.
Perché se nelle parole e nelle opere di Colui che viene
c’è l’invito a lasciare cadere ogni condotta malvagia,
più forte risuona l’annuncio
di una Misericordia paziente ed infinita.
Il mescolarsi di Dio con noi che contempliamo nei Vangeli,
infatti, é reale ed effettivo persino
quando commettiamo il male peggiore, anzi,
annuncia che quello è il momento
in cui Lui sceglie di farsi vicino nel modo più intimo,
intenso e compromettente possibile,
perché le nostre miserie non pesino su di noi soffocandoci.
Solo da questa prospettiva i precetti evangelici
con tutta la loro esigenza di radicalità
sono la manifestazione di una Volontà che intende condurci
verso il Bello, il Buono, il Vero.
Viceversa sono una condanna certa.
L’annuncio di questo volto di Dio
deve spingerci a camminare con fiducia e con serenità
verso e dentro le nostre contraddizioni,
sapendo bene che la perfezione evangelica
non consiste anzitutto nell’eliminare tutte le mediocrità,
ma nel permettere a Lui di amarle.
E che non c’è vita beata se non
nell’ammissione umile del bisogno quotidiano
della Sua Compassione.
Il Regno, si sa, è dei poveri di spirito.
Attendi Colui che viene nel prossimo Natale.
E dopo aver fatto il presepe, la Novena e i fioretti d’Avvento
cerca la Sua luce nei peccati che ancora, di nuovo,
immancabilmente avrai commesso.
Sarà lì, come a casa Sua,
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