AMERICAN SNIPER, EROE O BESTIA?
Fallujah, la battaglia più atroce
di Maurizio Turrioni
(da Famiglia Cristiana)
È il film del momento. E con 6 nomination ai prossimi premi Oscar
(tra cui quelle per la migliore pellicola e il miglior attore protagonista),
rischia di diventare anche il film dell’anno.
American Sniper di Clint Eastwood,
con il bravissimo Bradley Cooper nei panni di un letale cecchino americano
alle prese con gli orrori della guerra in Iraq,
sta sorprendentemente sbancando il botteghino,
di qua e di là dall’oceano:
90,2 milioni di dollari incassati nelle sale statunitensi
soltanto nel primo weekend di programmazione
(in queste ore veleggia già verso i 110) ,
mentre in Italia è attorno a quota 16 milioni di euro
Non basta:
American Sniper sta letteralmente scuotendo
l’opinione pubblica americana.
In questi giorni non c’è trasmissione televisiva, programma giornalistico,
rete radiofonica a stelle e strisce che non ospiti pareri pro o contro il film.
Un’infuocata tenzone non tanto sul valore cinematografico
della pellicola, sul quale tutti paiono d’accordo,
bensì sul senso morale e perfino sulla sua opportunità politica.
Perché il film è di una bellezza ipnotica e perciò angosciante.
E quando le immagini di guerra sono così forti
da inchiodarti alla poltrona
mentre senti l’adrenalina scaldare il corpo,
l’esaltazione della violenza si fa rischio concreto.
È per questo che tanti critici balzano su
accusando Clint Eastwood di essere tornato
alla filosofia giustizialista dell’ispettore Callaghan.
Anzi, peggio. Perché Chris Kyle non è un poliziotto inasprito,
paladino di una giustizia fai da te,
bensì un soldato che uccide tra le macerie fumanti di Falluja, in Iraq.
E Dio solo sa quanti caduti,
quanti orrori e quante polemiche la cosiddetta “guerra al terrore”
si porti ancora dietro.
A dar fuoco alle polveri, manco a dirlo,
sono stati i social network perché nessuno,
di destra o di sinistra che sia,
pare abbia resistito al richiamo di un film così tanto discusso
ancor prima che uscisse nelle sale.
E, subito dopo la proiezione, eccoli lì tutti a twittare il loro giudizio.
Michael Moore, regista premio Oscar per Booling a Columbine
e Palma d’oro a Cannes con Fahrenheit 9/11,
per la sua stroncatura ha pescato nei ricordi di famiglia:
“Mio zio è stato ucciso in quel modo durante
la Seconda Guerra Mondiale.
Sono stato cresciuto con la certezza che i cecchini
non sono eroi piuttosto dei codardi, che ti sparano alle spalle”.
C’è andato giù ancor più duro l’attore Seth Rogen,
assai popolare negli Usa:
“In pratica American Sniper mi ha ricordato il finto film
che viene mostrato verso la fine di Bastardi senza gloria
di Quentin Tarantino”.
Una pellicola di pura propaganda nazista,
dal titolo Orgoglio di una nazione,
in cui un cecchino tedesco colpiva centinaia di soldati nemici.
Naturalmente, non mancano voci di segno opposto
più o meno blasonate, a cominciare da quella dell’ex speaker
repubblicano alla camera Newt Gingrich.
A ben riassumerle tutte, ecco il commento postato con sospetto tempismo
da Sarah Palin, ex governatrice dell’Alaska
e repubblicana un po’ in ombra,
ma pur sempre leader del movimento conservatore Tea Party:
“Dio benedica le nostre truppe, specialmente i nostri cecchini”.
A questo punto, che si scambino un segno di pace.
E amen.
IL NOSTRO GIUDIZIO
In mezzo a tanto polverone, emerge il quesito più semplice:
vale la pena o no di andare a vedere American Sniper?
Occorrono stomaco forte e coscienza vigile,
ma un film va sempre visto per essere giudicato.
Chris Kyle fa parte dell’élite dei Navy Seals:
è il più specializzato e letale dei soldati,
un cecchino dalla mira infallibile
che protegge i marines alla caccia, casa per casa,
di Al Zarqawi, uno dei capi di Al Qaeda a Falluja.
Il fatto è che Kyle non nasce dalla fantasia di uno sceneggiatore,
è un uomo vero, un eroe per gli americani
impegnati nella guerra al terrore e per quelli che ci credono
essendo rimasti a casa.
Il cecchino che con oltre 160 bersagli accertati
ha salvato sul campo la vita di migliaia di marines
abbattendo kamikaze, dinamitardi, cecchini,
ma anche donne e bambini:
chiunque impugnasse un’arma contro i suoi.
American Sniper è la guerra vista attraverso
il potente binocolo di Kyle.
Le lenti mostrano lo strazio della moderna battaglia:
polvere e calcinacci che si tingono,
all’improvviso, di sangue umano.
In un secondo, Kyle deve valutare e decidere
se e chi uccidere.
Eppure, lui sarebbe uno normale,
innamorato della moglie e dei figli.
Ma si può tornare normale, a casa, in licenza,
dopo tanta violenza?
Kyle brucia quattro anni di vita in Iraq
per dare la caccia al “macellaio” e al suo braccio destro,
un cecchino siriano medagliato alle Olimpiadi.
A prezzo di tante vite, Kyle saprà spuntarla.
Solo un compagno, prima di morire, gli chiederà:
“Perché siamo qua?”.
Mentre lui, spavaldo, proclamerà:
“Sono pronto incontrare il Signore
e a rendergli conto di ogni singolo sparo”.
A presentargli il conto sarà però uno dei suoi,
un reduce fuori di testa che lo ammazzerà, a soli 39 anni.
L’ambiguità di Clint Eastwood regista sta nell’evitare
che il film si ponga qualunque domanda sul senso della guerra,
in Iraq come altrove.
Si tratta del punto di vista dell’americano medio,
di un americano vero.
Kyle uccide perché si sente nel giusto,
come il cane da pastore che protegge il suo gregge:
è dalla parte dei buoni, senza problemi morali o psicologici.
È semplicemente uno che fa bene il lavoro per il suo Paese.
Etica pericolosissima con cui certi revisionisti
vorrebbero perfino arrivare a riabilitare i nazisti.
E su questa posizione sarebbe davvero impossibile
difendere Clint Eastwood.
Ma all’attento osservatore,
capace di guardare lo schermo con occhi spalancati
e vigile coscienza,
il suo film più che a The Hurt Locker di Kathryn Bygelow
(storia di un artificiere in Iraq premiata con l’Oscar nel 2010)
farà pensare alla morale di Taxi Driver di Martin Scorsese:
la morte genera soltanto altre morti.
Anche se si pensa di essere nel giusto.
Anche se per un intero Paese sei un eroe.
Perché alla fine di American Sniper nessuno resta vivo.
Film durissimo, che richiede allo spettatore
assoluta maturità di giudizio.
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