L’ora di religione
In difesa della propria identità

di Gianni Epifani, Sacerdote rogazionista,
giornalista e regista della Santa Messa
di RaiUno


Da quando, nel 1984, è stato sottoscritto il nuovo accordo tra
Stato e Chiesa, condizionato dal presupposto 
di matrice costi- tuzionale della laicità del primo, 
l’insegnamento della religione cattolica nella scuola 
è diventato opzionale.
La ragione di tale previsione è ovvia: 
uno Stato aconfessionale non impone lo studio 
di alcuna specifica religione, nel rispetto 
della libertà di credo di ciascuno, 
che anche papa Francesco ha più volte definito 
un diritto umano fondamentale. 
Nulla quaestio. 
Tuttavia, questo principio è sacrosanto nel caso in 
cui l’insegna- mento in questione si presentasse 
come un indottrinamento, uno strumento propagandistico e apologetico, 
discriminatorio nei confronti di chi cattolico non è. 
Non certo quando tale disciplina scolastica
abbia tra i suoi obiettivi di apprendimento – 
ne cito alcuni testualmente –: 
“Evidenziare la risposta della Bibbia alle domande di senso dell’uomo 
e confrontarla con quella delle principali religioni”, 
“confrontare spiegazioni religiose e scientifiche del mondo 
e della vita”, “evi- denziare gli elementi specifici della dottrina, 
del culto e dell’etica delle altre religioni,
in particolare dell’Ebraismo e dell’Islam”,
“rintracciare nei documenti della Chiesa gli atteggiamenti 
che favoriscono l’incontro, il confronto 
e la convivenza tra persone di diversa cultura e religione”, 
“riconoscere in opere artistiche, letterarie e sociali 
i riferimenti biblici e religiosi che ne sono all’origine 
e decodificarne il linguaggio simbolico”. 
Insomma, molti ed evidenti sono gli aspetti 
che fanno di questo un insegna- mento storico, 
sociale, culturale, pur nel segno della tradizione 
e dei principi cristiani, che sono irrinunciabili in un paese cattolico.
Perché studiare gli dei e l’Iliade e non Gesù e la Bibbia? 
Perché imparare la storia, tralasciando quella del cristianesimo? 
Come comprendere la letteratura – 
si pensi alla Divina Commedia – 
la storia dell’arte, la filosofia senza un adeguato bagaglio 
di conoscenze religiose cattoliche?
Ma non è solo questo. 
La nostra storia affonda le sue radici nella cultura cristiana; 
è giusto preservarla, valorizzarla, difenderla e
presentarla come la nostra carta d’identità, 
che permette agli altri di conoscerci, capirci 
e di avvicinarsi a noi con rispetto e coscienza.
Nel 2004, l’allora cardinale Ratzinger, 
durante una lezione tenuta
presso la biblioteca del Senato italiano, 
ha affermato: “L’Occidente tenta sì, in maniera lodevole, 
di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, 
ma non ama più se stesso. 
La multiculturalità […] non può sussistere senza […] 
punti di orientamento offerti dai valori propri […] 
È nostro dovere nutrire in noi stessi il rispetto davanti a ciò che
è sacro e mostrare il volto di Dio che ci è apparso”. 
Dieci anni dopo, papa Bergoglio ha ribadito che 
“senza identità non può esistere dia-logo”.
È doveroso dunque trasmettere questo ricco 
ed importante patrimonio identitario alle giovani generazioni 
e difendere quell’ora di lezione che fortemente vi contribuisce, 
anche attraverso la scelta di avvalersi dell’insegnamento 
di religione cattolica, a scuola.

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