La parabola di Andreas e dell’aereo
di Giorgio Bernardelli,
giornalista della rivista Mondo e Missione
e del sito MissiOnLine.org,
ha lavorato ad Avvenire, quotidiano con cui tuttora collabora insieme
a VaticanInsider e a diverse altre testate.
Porta nel cuore Gerusalemme,
città a cui ha dedicato diversi libri
e che racconta nella rubrica
"La porta di Jaffa" sul sito www.terrasanta.net.
Quando pensiamo alle cadute –
comprese quelle di Gesù nella salita al Calvario –
lo sguardo solitamente va dritto alla terra
e alla durezza dell’impatto con il corpo.
Oggi, invece – dopo lo shock per le notizie sconvolgenti
sulla dinamica della tragedia dell’aereo della Germanwings,
schiantato volontariamente contro una montagna
dal co-pilota provocando la morte di 150 persone –
impariamo che anche guardare il cielo
può diventare importante per capire le nostre cadute.
Perché si può cadere anche da molto in alto,
persino da 10 mila metri d’altezza.
Si può cadere con una planata apparentemente dolce
eppure ugualmente dall’esito devastante.
Si può cadere per un male che insidia l’equilibrio della mente,
molto più che quello del nostro corpo.
E – soprattutto – si può cadere non da soli,
ma trascinando con noi tante altre persone.
Proviamo a guardarlo anche così
questo dramma del nostro tempo.
Proviamo a non fermarci alla cronaca,
che giustamente fa il suo mestiere
ma ci rinchiude nel perimetro di domande piccole:
la scatola nera, la porta blindata, le misure di sicurezza,
i test sulla psiche di chi ha sulle sue spalle
la responsabilità della vita o della morte di tante persone…
Questioni importanti, ovvio,
e sulle quali dopo questo disastro si studieranno
i protocolli più adeguati.
Ma quanto le notizie del telegiornale ci portano in casa
ha anche la forza della parabola.
Nonostante tutti i tentativi di allontanare il male,
di vivisezionare il «mostro» di turno
per trovare una causa in questo abisso di morte
(«era una tragedia evitabile…»
è il ritornello classico in questi casi),
certi fatti ci riportano a domande che hanno
a che fare anche con il nostro cielo.
Dove stiamo volando davvero?
Ciò che «ci fa sentire su» è una rotta sicura
o l’inizio di una caduta violenta?
E poi – pensando ad Andreas,
il triste protagonista di questa storia –
quanto anche le nostre infedeltà e debolezze
non sono un fatto «privato»,
ma sulla vita degli altri lasciano sempre un segno
– piccolo o grande, passeggero o indelebile?
Sono proprio le domande del cammino della Quaresima
– alla fine – ciò che anche di fronte a questa tragedia
uno sguardo un po’ più profondo ci richiama.
Proprio alla viglia dell’ingresso nella Settimana Santa.
Tempo di un monte contro cui apparentemente
tutto si era schiantato.
Ma nel mistero della Pasqua
divenuto soffio di vita per riprendere quota.
A quel mistero affidiamo quanti hanno perso la vita
in questo dramma e i loro cari.
Insieme al nostro desiderio in questa Pasqua
di ritornare a guardare davvero il cielo..........
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