«Abitare il mondo.
La relazione tra l’uomo e il creato»
di Angelo SCOLA
Arcivescovo di Milano
«Dar da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati»,
due importanti opere di misericordia corporale,
non solo esprimono la legge elementare
della carità cristiana personale e sociale,
ma mettono in evidenza la base materiale primaria
della giustizia sociale.
Acqua e cibo sono beni essenziali,
indispensabili alla vita. Inoltre,
sono condizioni per salvaguardare la pace nel nostro mondo.
È ancora attuale il titolo con cui si conclude
l’enciclicaPopulorum progressio di Paolo VI:
«Lo sviluppo è il nuovo nome della pace».
Se non sono garantiti il diritto all’acqua
e a un’alimentazione adeguata,
viene concretamente negato ogni valore alla dignità umana
e viene meno la più elementare tutela dei diritti umani.
Oggi è doveroso affermare che i singoli Paesi,
la comunità internazionale e tutte le persone di buona volontà
compiano ogni sforzo per garantire ad ogni essere umano
l’accesso all’acqua e al cibo.
Questa affermazione, nella sua apparente ovvietà,
individua la prospettiva etica,
propria delle nostre brevi riflessioni.
Il fatto che l’etica non si occupi direttamente
degli aspetti tecnici relativi al “come” tale scopo
possa essere raggiunto non significa che essa
si limiti a semplici esortazioni.
L’etica, e soprattutto l’antropologia
che essa sempre sottende,
comunque la si voglia intendere nella nostra società plurale,
non è pura cosmesi della tecnoscienza.
Al contrario, senza riferimento a un sistema
equilibrato di diritto e giustizia,
che non può mai ultimamente prescindere
dall’etica/antropologia, l’accesso universale al cibo
e all’acqua, così come il necessario e sostenibile sviluppo,
finisce su sentieri interrotti.
Anche a uno come me,
“laico” nelle molteplici discipline relative
all’agricoltura e all’alimentazione,
non mancano informazioni per dire che
la situazione mondiale, specie negli ultimi anni,
è stata e rimane oggetto di preoccupazione
a causa del drastico aumento dei prezzi dei prodotti alimentari,
che ha accentuato la situazione di deprivazione
e di vulnerabilità delle persone più povere.
L’obiettivo di dimezzare la povertà estrema
e la fame entro il 2015,
a cui la comunità internazionale si è solennemente
impegnata firmando la Dichiarazione del Millennio,
si è allontanato invece di avvicinarsi.
La sofferenza e la mancanza di speranza nel futuro
di chi si trova nell’incapacità di nutrire sé e la sua famiglia
rendono doverose le iniziative di emergenza
a sostegno dei consumi di prodotti alimentari;
ma questi sforzi, per essere realmente sostenibili,
devono essere accompagnati
sia da una prospettiva realistica di produzione agricola
e di creazione di reddito,
sia da politiche che promuovano un reale accesso
ai prodotti alimentari da parte delle persone
e delle comunità più povere, secondo criteri di giustizia.
Molti esperti ci ricordano che l’insicurezza alimentare
e la vulnerabilità agli andamenti dei prezzi agricoli mondiali
sono fenomeni legati alla povertà,
alla marginalizzazione, all’esclusione economica e sociale.
La lotta alla fame è dunque un capitolo importante,
ma non isolato, dello sforzo più generale
per lo sradicamento della povertà.I “poveri”
non sono una categoria sociologica,
ma delle persone reali, con il loro volto e la loro storia,
nel “qui e ora” concreto della loro singolare
esperienza personale e sociale.
Per questo le soluzioni tecniche devono essere cercate
e attuate caso per caso, in un rapporto di reale cooperazione
fra persone e fra popoli.
Ciò è tanto più urgente nelle aree
che sono teatro di guerre e di conflitti
e negli sterminati campi profughi,
dove l’umanità sofferente ha bisogno sia dell’aiuto materiale,
sia di quella speranza nel futuro
che può riaccendere l’operosità quotidiana.
Una prospettiva realistica ed economicamente efficace
per l’azione di lotta alla povertà e di sviluppo sostenibile
fa leva sulla capacità creativa delle persone e delle comunità
nel dare risposta ai propri bisogni.
Questa deve essere quindi promossa
con adeguati investimenti educativi
e di sviluppo agricolo locale.
Tali investimenti non hanno solo risvolti tecnico-economici,
ma richiedono un impegno istituzionale.
A titolo di esempio, si può qui ricordare
che gli esperti parlano di opportune riforme agrarie
nei Paesi dove prevalgono latifondi;
oppure di forme di collaborazione regionale e locale
per la gestione delle risorse idriche,
controllando per quanto possibile i fenomeni alluvionali
e di desertificazione, specie nel continente africano,
dove l’impiego sostenibile delle acque piovane,
dei fiumi e dei laghi
è condizione necessaria allo sviluppo agricolo.
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