Potevamo stupirvi con effetti speciali....
di don Cristiano Mauri
Uno strano incrocio tra un tecnico degli effetti speciali
per le occasioni importanti,
un doping per il credente dilettante
che punta alla prestazione straordinaria
e un kit di attrezzi pronti all’uso
– i cosiddetti doni –
per la perseveranza del cristiano tra i pericoli del mondo.
Nell’immaginario comune lo Spirito Santo è più o meno
qualcosa del genere e non c’è da stupirsi
che si finisca col considerarlo un banale accessorio
da usare al bisogno.
D’altronde, quando si racconta la vita cristiana
come l’impegno costante ed estenuante
a fornire una serie di prestazioni
– quasi sempre di carattere oblativo quando non penitenziale –
e a rispettare una serie di precetti rigorosi ed esigenti,
come spesso facciamo,
lo Spirito sembra pensato apposta per giocare
più o meno la parte della missione umanitaria.
Cosa ci sia poi di affascinante, entusiasmante
e consolante in tutto ciò… Il Vangelo,
però, grazie a Dio racconta tutt’altro,
tanto della vita cristiana,
quanto del ruolo dello Spirito.
Basta leggere con attenzione il discorso dell’Ultima Cena
del Vangelo di Giovanni per vedere
tutta l’esperienza cristiana strappata
alla gabbia della prestazione religiosa
e ricollocata dentro gli spazi aperti della Comunione.
Rimanere nell’amore, mettersi a servizio gli uni gli altri,
camminare nell’unità, conoscere il Padre,
procedere verso un’unica dimora, accogliere la pace,
lasciarsi chiamare amici,
credere che come il Padre ha amato Cristo
così Cristo ha amato i suoi:
queste sono le parole che raccontano la vita di un cristiano.
Perché credere al Vangelo significa scegliere di entrare
in una storia di Comunione.
Decidere di abitare stabilmente in Colui che è Comunione,
gustandone la compagnia,
lasciandosi da Lui nutrire e accompagnare,
professando quotidianamente l’amore quale unica legge
che regola i rapporti con i fratelli.
Prima che invitarci a una qualunque pratica religiosa,
Il Vangelo proclama con forza la verità
che non c’è una «solitudine esistenziale»
alla base dell’esperienza umana,
bensì una «Comunione radicale»
nella quale siamo immersi da che veniamo al mondo
e per tutta l’eternità.
La vita dell’uomo è una vita con il Padre,
per il Figlio nello Spirito.
Questo sì che è affascinante, entusiasmante e consolante.
Soprattutto fronte delle situazioni esistenziali
in cui ci si percepisce in balìa delle cose,
si smarrisce il senso, si prova il gelo dell’abbandono,
si avverte la sproporzione di fronte alla realtà,
si sente la vertigine della propria debolezza,
questo è realmente un buon annuncio,
una parola di salvezza.
Dentro questa prospettiva non si comprende lo Spirito
se non come «Paraclito», cioè come
«colui che è posto accanto»,
che è donato perché rimanga con noi sempre,
perché nessuno si senta orfano,
perché ciascuno possa godere
della Comunione con il Padre nel Figlio,
perché affermi senza sosta la Verità dell’amore
del Padre per ogni uomo.
Lo Spirito, per i credenti, è dunque anzitutto
il «testimone della Comunione»
e il compito che ha di «condurre alla verità tutta intera»
consiste nel realizzare nel cuore di ognuno
la vittoria sull’insidia della solitudine,
sul rischio di pensare la propria esistenza
come una vita senza capo né coda,
senza una sorgente da cui partire,
un percorso in cui dispiegarsi,
una meta a cui consegnarsi.
Se questo è lo Spirito, accoglierlo, cercarlo, invocarlo
non significa dunque inseguire straordinari doni
o eccezionali manifestazioni,
piuttosto disporsi in ascolto di quella sottile
ma chiara voce interiore che ci suggerisce il nome di Dio
quale Padre e ci invita a guardare
ogni uomo come un fratello,
per assecondarla e farne una regola di vita.
È il «culto in Verità» – quella dell’amore di Dio –
da vivere nello Spirito – testimone della Verità –
di cui Gesù parla alla donna di Samaria,
capace di far sgorgare in noi
una sorgente incessante di acqua viva
che disseti ogni bisogno di senso,
di speranza,
di consolazione,
di forza.
Anche senza effetti speciali......
Commenti
Posta un commento