L’abitazione
L’abitazione di mia sorella non la conosco.
Sono a casa da soli due giorni dopo tre anni e mezzo
e oggi la vado a trovare.
Mentre sto uscendo,
mio padre si offre di accompagnarmi in macchina.
“E’ lontano a piedi” mi dice, ma io voglio proprio andarci a piedi
perché ho bisogno di rivedere i luoghi dove sono cresciuto.
Non so di preciso dove abiti mia sorella,
ma quella strada la conosco, la troverò.
‘No grazie papà’, gli rispondo,
anche perché mia sorella ho piacere di incontrarla da solo.
A San Patrignano, a trovarmi, è venuta solo una volta
e ricordo che per tutta la giornata trascorsa insieme
è rimasta fredda, e quando incrociavo il suo sguardo,
i suoi occhi erano strani, severi direi.
Solo oggi però capisco quello sguardo.
Solo oggi riconosco il dolore che gli ho provocato, troppo grande.
Ha sempre avuto stima di me,
“Tua sorella ti ama” mi dicevano sempre le sue amiche.
Sempre.
Anche io l’ho sempre amata, lei e suo figlio.
Quando ha scoperto di aspettare il bambino,
sono stata la prima persona a cui è corsa a dirlo.
Poi la scoperta. Io mi facevo, io ero un drogato,
io dovevo andare via.
E mentre io sono stato in comunità
lei è diventata una splendida mamma,
con un dolore nel cuore e un bellissimo figlio, Antonio.
Adesso fa la prima elementare il nostro Antonio.
Antonio a Sanpa non era mai venuto,
quando ero andato via aveva tre anni.
Sento un fishio nel citofono, poi una voce “Terzo Piano”.
E’ mia sorella.
Entro nel palazzo e non uso l’ascensore
ma comincio a salire piano le scale,
magari tutti quegli scalini rallenteranno il mio battito.
Non credevo che sarei stato così agitato, emozionato.
Trovo la porta aperta ed entro.
Non mi aspetta sulla porta, non sono un estraneo.
Eccola in cucina, oramai donna la mia sorellina,
con i capelli raccolti, le mani che sanno di detersivo per i piatti
e il portatile connesso su YouTube per ascoltare la musica.
Si volta, mi guarda e poi ci abbracciamo forte.
Non so cosa dire allora “Antonio?” le chiedo,
“E’ di la, vai” mi risponde.
Nel corridoio sento i suoni di un videogame
attraverso la porta chiusa della cameretta.
Entro piano, Antonio è seduto sul lettino e gioca alla play,
Dio mio quanto è cresciuto, ha proprio i suoi occhi.
“Ciao” lo saluto e sento il mio cuore che batte fortissimo.
Mi guarda solo per un attimo e poi “ciao” mi risponde.
Rimango fermo a guardarlo ,
forse non si ricorda di me allora ci provo,
glielo chiedo e lui mi risponde “Si, si, tu sei zio Francesco”
e mentre mi sorride si alza veloce,
come solo i bambini sanno fare e si precipita ad aprire un cassetto,
poi torna indietro, da me, con un modellino di una moto nelle mani.
“E tu ti ricordi di questa?”.
Alle spalle sento la voce di mia sorella
che mi spiega che quel giocattolo, di cui è gelosissimo,
l’ho regalato io ad Antonio prima di andare via.
Adesso sono tornato, dico, e mi siedo sul lettino
insieme a mio nipote che comincia a spiegarmi
come funziona quel videogame, mi incanto a guardarlo
anche se io non ho mai amato quei giochi elettronici.
Ma oggi quello, è un gioco speciale.
Sulla porta mia sorella ci guarda,
i suoi occhi sono diversi ora
e forse ora sono anche io ad essere diverso
e a vedere questo mondo da un’angolazione migliore.
Dove esiste mia sorella, mio nipote, mio padre,
la mia famiglia, la mia vita.
Mia sorella socchiude la porta
ma prima di andare si ferma un attimo e dice
‘E’ vero, sei tornato!’.
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