Cinque parole per smontare gli stereotipi sull’Aids: 

da «untore» a «sieropositivo»




Il primo passo per fermare i pregiudizi passa dall’uso delle parole. Vale per tutto, ma in particolare per l’Aids. Linguaggio e immagini che si riferiscono a persone affette da Hiv non devono contenere elementi di discriminazione. C’è uno stigma pesante su queste persone, c’è molta paura, come dimostra il caso della bimba sieropositiva rifiutata da una scuola media, e ancora prima da altre 35 comunità: una vita difficilissima, il risultato di una diffusa ignoranza sulle caratteristiche della malattia, che non si trasmette facilmente come un raffreddore.
Davvero bella, in questa direzione, l’iniziativa messa in atto da Lila (Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids) con l’agenzia di stampa Redattore Sociale: hanno creato una sezione dedicata all’Hiv sul sito «Parlare civile», la guida ai media (ma non solo) sui temi sensibili e a rischio di discriminazione. Parlare Civile è un progetto di Redattore Sociale, realizzato in collaborazione con l’associazione Parsec e finanziato da Open Society Foundations.
Se in Italia ci sono 94.146 casi di contagio accertato da Hiv, secondo le stime di Lila le persone che ne sono affette senza saperlo sarebbero dal 13 al 40 per cento in più. C’è molta paura intorno all’Aids, e contribuiscono ad alimentarla anche i titoli sensazionalistici dei giornali. Sembra, dicono in molti, di essere tornati nel clima degli anni ’80, quando ancora dell’Hiv si sapeva pochissimo, mentre oggi sono stati fatti moltissimi passi in avanti nella conoscenza e nella lotta a questa patologia.
Lila ha scelto e analizzato cinque parole che si riferiscono all’Hiv nell’ambito del progetto Parlare civile, associando ad ognuna i dati più aggiornati a disposizione sul tema. Si spiegano anche i casi più frequenti di utilizzo improprio del termine e i suggerimenti per l’uso corretto. Per esempio: untore una parola dal sapore manzoniano che richiama i tempi della peste (e scenari apocalittici di morte e contagio). Se viene utilizzato in un articolo che parla di Hiv favorisce la discriminazione e quindi, in modo indiretto, perfino la diffusione del virus (alla mancanza di informazione corrispondono infatti maggiori rischi). Seconda parola: infezione-contagio. Pochissimi sanno che oggi la terapia antiretrovirale riduce di oltre il 96 per cento la possibilità di trasmissione del virus permettendo, insieme ad altre precauzioni, alle persone con Hiv una vita affettiva normale e anche, volendo, di diventare genitori. Terza parola: categoria a rischio chiarisce che il pericolo di contagio non dipende dal gruppo sociale di appartenenza, ma solo dal comportamento adottato individualmente. E ancora, quarta parola, sieropositivo se usato come sostantivo e non come aggettivo rischia di ridurre la persona con Hiv alla sua patologia. Infine Aids si ricorda l’importanza di distinguere tra chi ha contratto il virus e chi è nello stadio conclamato della sindrome da immunodeficienza.
Il progetto Parlare civile (www.parlarecivile.it), realizzato dall’agenzia Redattore Sociale e dall’associazione Parsec con il finanziamento di Open Society Foundations, si propone di fornire un aiuto pratico a giornalisti e comunicatori (ma anche, per esempio, studenti e insegnanti, e infine è utile a tutti) per trattare con linguaggio corretto temi sensibili e a rischio di discriminazione. È il primo in Italia che affronta in una cornice unica i seguenti argomenti: disabilità, genere e orientamento sessuale, immigrazione, povertà ed emarginazione, prostituzione e tratta, religioni, rom e sinti, salute mentale. Ora anche Hiv. Parlare civile è un’opera di servizio, di documentazione e formazione. Le schede sono compilate con lo sforzo di essere didattiche e informative, e non censorie o prescrittive, nella consapevolezza che il linguaggio non è statico ma in continua trasformazione.

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