ISLAM IN PIAZZA, POCHI MA BUONI
Le polemiche sulla disorganizzazione delle comunità islamiche e sul numero dei partecipanti non scalfiscono l'importanza della manifestazione. Ecco perché
Certo, ne avremmo volute a centinaia di migliaia, nelle piazze italiane, per gridare il loro no alla violenza e condannare senza se e senza ma il terrorismo cieco dell'Isis, ribadendo il messaggio autentico del Corano della pace e del rispetto. E invece possiamo parlare al massimo di centinaia di manifestanti, sparsi come granelli di sabbia nelle varie città italiane. A Roma, in piazza Santi Apostoli, un cronista ne ha contati con zelo matematico 306. Altri 500 pare fossero a Milano, in piazza San Babila. Questa "minoranza chiassosa" naturalmente ha immediatamente dato la stura alle critiche, al sarcasmo (un flop, c'erano più giornalisti che islamici) alle polemiche e alle condanne: lo vedete che sono in pochi a ribellarsi? La maggioranza "silenziosa", la "zona grigia", la pensa come il Califfato, o nella prospettiva migliore se ne infischia, né con lo Stato né con il Daesh, per parafrasare un vecchio slogan che andava per la maggiore tra certi intellettuali al tempo delle Br (Moravia, Sciascia, Cases).
Fa male vedere le piazze vuote. Fanno anche più male alcune scuse addotte dalle varie comunità islamiche e da molti islamici contattati al telefono da Tv, giornali e radio (non lo sapevamo, stavamo lavorando, non avevamo tempo, l'ho saputo solo dopo dai telegiornali, gli islamici in Italia pensano alla famiglia e al duro lavoro, non sono abituati a scendere in piazza). In realtà quelle (poche) presenze nelle piazze italiane hanno avuto un'importanza fondamentale, poiché per testimoniare il messaggio autentico di certe idee, per sfidare le tradizioni dure a morire, gli stereotipi, i luoghi comuni imperanti, i pregiudizi e le accuse pretestuose e generalizzanti (tipo "Bastardi islamici"), le condanne aprioristiche e senza appello, non sono necessarie folle oceaniche.La media degli islamici italiani è costituita da gente che sgobba da mattina a sera nei cantieri, nei ristoranti, nelle case di riposo per dare un futuro migliore ai loro figli. Sono generalmente poveri e i poveri generalmente non vanno in piazza perché non sono informati ne hanno gli strumenti per informarsi, non sono su Twitter e Facebook, non hanno garantito il posto di lavoro se vanno alel manifestazioni come i sindacalisti e non hanno i soldi per pagarsi le trasferte a Roma e a Milano, come i bus organizzati dai sindacati (a proposito, i sindacati in questa storia dove sono?)
Fa male vedere le piazze vuote. Fanno anche più male alcune scuse addotte dalle varie comunità islamiche e da molti islamici contattati al telefono da Tv, giornali e radio (non lo sapevamo, stavamo lavorando, non avevamo tempo, l'ho saputo solo dopo dai telegiornali, gli islamici in Italia pensano alla famiglia e al duro lavoro, non sono abituati a scendere in piazza). In realtà quelle (poche) presenze nelle piazze italiane hanno avuto un'importanza fondamentale, poiché per testimoniare il messaggio autentico di certe idee, per sfidare le tradizioni dure a morire, gli stereotipi, i luoghi comuni imperanti, i pregiudizi e le accuse pretestuose e generalizzanti (tipo "Bastardi islamici"), le condanne aprioristiche e senza appello, non sono necessarie folle oceaniche.La media degli islamici italiani è costituita da gente che sgobba da mattina a sera nei cantieri, nei ristoranti, nelle case di riposo per dare un futuro migliore ai loro figli. Sono generalmente poveri e i poveri generalmente non vanno in piazza perché non sono informati ne hanno gli strumenti per informarsi, non sono su Twitter e Facebook, non hanno garantito il posto di lavoro se vanno alel manifestazioni come i sindacalisti e non hanno i soldi per pagarsi le trasferte a Roma e a Milano, come i bus organizzati dai sindacati (a proposito, i sindacati in questa storia dove sono?)
Ma quante volte nella storia, la fiammella dell'autentico messaggio cristiano ha tenuto accesa la luce della Verità in mezzo al buio delle persecuzioni, dell'omologazione culturale, del totalitarismo cieco e brutale? Ecco perché dobbiamo ringraziare quei musulmani che gridavano che "il Daesh è il cancro dell'islam", che ricordavano che il mondo islamico è la principale vittima del terrorismo. Non a caso erano in maggioranza giovani e donne, ragazzi e ragazze col velo e senza velo scesi in piazza per gridare alto lo slogan "not in my name, non nel mio nome", anche in nome dell'integrazione e del dialogo. Hanno testimoniato la presenza e la forza di un altro Islam, quello vero più autentico, non strumentalizzato dal fanatismo e dall'odio, dall'ignoranza dei terroristi. L'Islam delle primavere arabe, delle comunità di mezz'Europa, della stragrande maggioranza del variegato mondo musulmano, aperto anche al progresso della storia "in nome di Allah". L'Islam dei versetti del Corano che recitano: "Chiunque uccida un uomo sarà come se avesse ucciso l'intera umanità".
"C'erano i leader delle comunità e questo conta",
ha detto ai microfoni una ragazza con in mano un cartellone
che recava lo slogan #notinmyname.
E infatti tra la folla si sono visti il segretario generale
della Grande Moschea di Roma Abdellah Redouane
e il presidente delle Comunità islamiche italiane Izzedin Elzir.
Certo, l'auspicio è che i numeri si ingrossino sempre di più,
che si ponga rimedio alla disorganizzazione
dimostrata dalle varie associazioni islamiche in Italia.
Ma quelle presenze scese in piazze nel pomeriggio di ieri
sono state davvero importanti contro l'odio fondamentalista
del terrorismo. Perché quei "pochi ma buoni"
stanno aiutando l'Europa a progredire
sulla strada dell'integrazione.
Commenti
Posta un commento