Dio si rivela, al cinema, nelle ferite di un omosessuale
Recentemente ho avuto la possibilità di vedere in anteprima un nuovo film dai creatori di Terra di Maria (capolavoro, se non lo avete ancora visto, fatelo!). Si tratta del film documentario Dio esce allo scoperto, nato un paio di anni fa in Spagna e da qualche tempo visionabile nelle sale italiane previo raggiungimento di un numero minimo di prenotazioni (per prenotarsihttp://www.infinitomasuno.it/index.php/iscriviti-alla-mailing-list/).
Come per i libri, chi mi conosce sa che io non scrivo mai di qualcosa che non abbia visto e che non mi sia personalmente piaciuto, così come non ho mai chiesto a nessuno di promuovere il mio romanzo senza averlo prima letto. È perciò con estrema convinzione che oggi vi parlo di questo film che per me andrebbe proiettato in ogni sala pubblica e privata dello Stivale dalle Alpi a Pantelleria, e mostrato a tutti.
Dio esce allo scoperto è un documentario che ripercorre la vita di Ruben, uomo messicano che per essere vissuto in una famiglia dalla quale non si è mai sentito accolto (scoprirà troppo presto il tragico motivo), deciderà di voltare le spalle a Dio, incolpandolo del male subito e sperimentando ogni tipo di strada offerta dalla società moderna per la “realizzazione di sé”. Questa scelta farà precipitare Ruben in una spirale sempre più profonda di disperazione: dal sesso occasionale, alla prostituzione, fino alla perdita dell’identità, un passo dopo l’altro, una caduta dopo l’altra Ruben percorrerà tutti i gironi dell’inferno fino a toccarne e il fondo.
E sarà lì, al fondo dell’inferno, che Dio verrà a riprenderselo.
Fin qui nulla di strano. Nella sua essenza, la storia di Ruben è la storia di tutti: nascita, morte, resurrezione.
E già questo basterebbe a spiegare perché, secondo me, questo film andrebbe visto da chiunque. Indifferentemente da quale sia l’origine del vostro male, infatti, ciò che realmente conta è che quel male non è mai né l’unica, né l’ultima parola su di voi.
C’è però un’altra ragione, e non è meno importante della prima. Ruben ha tendenze omosessuali. Sì, avete capito bene: questa è una motivazione per cui tutti farebbero bene a guardare questo film. Tutti, non solo gli omosessuali. E arriviamo al punto: il dolore delle persone che hanno problemi di identità sessuale, riguarda solo queste persone? Semplifico la domanda: il dolore di ciascuno è affare solo suo?
Io non credo. E non solo io, a quanto pare. Almeno secondo quanto riportato dall’allora cardinale Ratzinger nella Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali:
Nella Dichiarazione su alcune questioni di etica sessuale del 1975, la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva sottolineato il dovere di cercare di comprendere la condizione omosessuale. […] Ma occorre chiarire bene che ogni allontanamento dall’insegnamento della Chiesa, o il silenzio su di esso, nella preoccupazione di offrire una cura pastorale, non è forma né di autentica attenzione né di valida pastorale. […] Un programma pastorale autentico aiuterà le persone omosessuali a tutti i livelli della loro vita spirituale[…]. In tal modo, l’intera comunità cristiana può giungere a riconoscere la sua vocazione ad assistere questi suoi fratelli e queste sue sorelle, evitando loro la delusione e l’isolamento.
Capite? L’intera comunità cristiana ha il dovere di comprendere.
Siamo nel 1986, e da allora questa è rimasta per lo più lettera morta, salvo tentativi eroici di singoli pastori illuminati, o semplicemente armati di buona volontà.
Ma la buona volontà non è sempre sufficiente. Bisogna anche fornire gli strumenti, non solo spirituali, ma anche psicologici e umani perché i pastori e le comunità possano capire davvero e in maniera adeguata la situazione e il dolore di chi ha tendenze omosessuali, per potere aiutare nel modo giusto questi fratelli, prima di tutto senza lasciarli soli.
Sia chiaro: il mio non è un inno al volemose bene, né un volere porre l’accento sul dolore delle persone omosessuali come se fosse più grande di altri. Però un conto è sopravvalutare un disagio, come cerca di fare oggi la società civile, un conto è ignorarlo come se non esistesse. Non siete ancora convinti?
Parliamo allora del signor Charamsa. Le sue dichiarazioni hanno confuso e scandalizzato molti, me compreso. E tuttavia, se davanti a episodi del genere continueremo solo a scandalizzarci per poi voltarci dall’altra parte, temo che i signori Charamsa nella Chiesa non faranno altro che proliferare.
Non voglio giustificarlo: Charamsa è un teologo e quindi possiede tutti gli strumenti culturali e intellettuali per sapere che quando dice che “la Chiesa chiede ai suoi figli omosessuali di rinunciare alla vita amorosa”, sta dicendo una pura menzogna. Soffermarsi però solo su questo o sul fatto che il celibato è richiesto a tutti i sacerdoti e “quando lui si è fatto prete lo sapeva”, vuol dire ancora una volta ignorare il problema vero che questa storia porta alla luce, e cioè che le persone che vivono situazioni di omosessualità nella Chiesa, vengono ad oggi lasciate sole, esponendole a tentazioni peggiori. Con tanti saluti alla lettera pastorale.
È un dato di fatto: di fronte all’assordante silenzio della Chiesa su queste questioni, purtroppo i suoi figli confusi cercano risposte da altre parti. E quelle risposte non sono difficili da trovare, poiché vengono gridate in tutte le piazze, fisiche e virtuali, da oltre trent’anni. Ammettiamolo, non possiamo scandalizzarci di Charamsa, senza scandalizzarci di noi stessi e della nostra indifferenza verso un problema che abbiamo volutamente fatto finta di non vedere, per molto, troppo tempo. Dopotutto la Chiesa siamo noi, no?
Per fortuna oggi ci viene data un’opportunità in più per fare qualcosa di diverso. Vogliamo davvero che “l’intera comunità cristiana possa giungere a riconoscere la sua vocazione ad assistere questi suoi fratelli e queste sue sorelle, evitando loro la delusione e l’isolamento”?
Se lo vogliamo, se lo volete voi che state leggendo, prenotate Dio Esce allo Scoperto, guardatelo con i vostri parroci, mostratelo ai vostri educatori.
Una testimonianza di vita che in un’ora e mezza pone luce sia sulle ferite legate all’omosessualità che su quelle legate alla transessualità, ma che soprattutto, al di là della storia specifica di Ruben, mostra una grande speranza, una via possibile per tutti quei fratelli che vogliono vivere nella Chiesa e che da essa si sono allontanati, convinti che qui non ci fosse un posto per loro.
Una via che nel concreto può passare anche da Courage (www.courageitalia.it), l’unica (e sottolineo unica) realtà esistente nella Chiesa, voluta da Giovanni Paolo II, che si occupa di aiutare le persone omosessuali a vivere secondo il Magistero in castità, rispettando la natura del proprio corpo. Una realtà di cui Ruben fa parte attivamente oggi, andando persino a fare apostolato nei locali gay.
Parlo a te che stai leggendo ora e che magari hai un fratello che ti ha confidato il suo dolore e non sai come aiutarlo; o a te che sei un sacerdote e ti chiedi come si possa parlare al tuo parrocchiano che confessandosi piange l’ennesimo rapporto col suo ragazzo; o a te che vivi il turbamento di non capire cosa stia passando tuo figlio e ti rendi conto che forse qualcosa te lo sei perso per strada; o a te che vorresti amare i tuoi amici senza fargli male, ma senza dover rinunciare a testimoniare la tua fede: guardate Dio esce allo scoperto.
La storia di un omosessuale, di un peccatore, di un figlio di Dio amato. La storia di Ruben. La storia di ciascuno di noi!
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