Commento al Vangelo del 28 febbraio 2016
Dal Vangelo secondo Luca 13, 1-9
Che fioriamo
Stiamo vivendo una quaresima giubilare.
Resa ancora più forte dalla mobilitazione cui ci ha invitati il Papa venuto dai confini del mondo, per ritrovare l’essenziale, per ribadire a noi e al mondo che il Dio in cui crediamo è il Dio di Gesù, non quello frutto delle nostre paure e della nostre distonie profonde, non quello acciaccato delle nostre approssimazioni, non un dio che diventa la proiezione di quello che siamo.
Attraverso il deserto dell’autenticità siamo chiamati a lasciare la pianura della mediocrità per fare esperienza della bellezza di Dio.
E in questo percorso la Parola, oggi, ci invita a riflettere su un tema scottante, una domanda che emerge nel cuore di chi, nel proprio percorso, si scontra con qualche difficoltà, più o meno grave.
La domanda che, spontanea, sorge nel cuore di tutti, anche dei più devoti.
Perché Dio ce l’ha con me?
O anche
Cosa ho fatto di male per meritarmi questo?
Alzi la mano chi non l’ha mai pensato.
La ragione della sofferenza, il senso del dolore, è una delle molle che ha spinto l’uomo a cercare altrove, l’oltre, a pensare a Dio. Perché il dolore sembra contraddire pesantemente il volto di Dio come appare nella Bibbia.
Altre visioni della vita e della fede hanno trovato diverse soluzioni, una divinità malvagia contrapposta a quella buona, ad esempio. Ma la Bibbia si ostina a parlarci di un Dio misericordioso e compassionevole cui anche il male è sottomesso. Allora? Perché Dio permette la sofferenza?
Lungo la storia gli autori biblici hanno dato diverse risposte che cercavano, in qualche modo, di salvaguardare Dio. Finendo col massacrare l’uomo.
La sintesi del ragionamento era: se soffri è perché hai trasgredito alle indicazioni divine. Insomma: è colpa tua.
E il dolore dell’innocente, allora?
I rabbini avevano sentenziato: gli innocenti pagano gli errori dei genitori.
Il ragionamento fila via liscio ma Dio ne esce proprio male!
Poi era arrivato Giobbe che aveva sentenziato che anche il giusto soffre e non sappiamo il perché.
Ma Gesù
Solo che i contemporanei di Gesù, e molti ancora oggi, erano convinti della visione più semplice: se ti succede qualcosa è perché Dio ce l’ha con te. Ecco, allora, la ragione della domanda rivolta a Gesù: di chi è la colpa per la morte di quei tali sepolti dal crollo della torre di Siloe? E di quei poveracci uccisi durante il culto dai soldati romani?
La risposta di Gesù è destabilizzante: non i loro peccati sono la ragione della loro morte. Ma l’imperizia del costruttore e la violenza dei romani. Ma, aggiunge Gesù, approfittate di questi episodi per farvi i conti in tasca, per capire che la vita è breve e instabile, che è essenziale trovare l’essenziale. Non offre risposte, ma indica un percorso, vede nella sofferenza una opportunità.
Capisco
Mi ribello in me stesso, io vorrei non soffrire, altro che storie! Ma, alla fine mi arrendo: non ho in me tutte le risposte, non so la ragione del dolore, almeno di quello dell’innocente (molta della sofferenza che vivo me la sono creata io!). Ma mi fido.
Sì, Signore, cerco di prendere le inevitabili fatiche della vita non come una punizione ma come un’opportunità. E no, non ce l’hai affatto con me, non scherziamo.
Io, spesso, ce l’ho con me, e gli altri, più raramente.
E tu non sei l’assicuratore della mia vita, non sono eterodiretto, non sono una marionetta.
Quanto vola alto Gesù! Quanta dignità ritrovo in me stesso!
Di più
L’evangelista Luca osa andare oltre.
Dio è come il padrone che sa pazientare anche se il fico è sterile, anche se si aspetta un abbondante raccolto e non trova nulla. Invece di tagliare il fico e di piantarne un altro, come faremmo noi, gli zappa intorno e lo concima, sperando che porti frutto.
Ha pazienza Dio, è un inguaribile ottimista, spera sempre che riusciamo a cambiare, a dare il meglio di noi, a fiorire e portare frutti. Quante vite aride incontro! E quanto anche la mia vita, nonostante tutte le cure che ho sperimentato in questo lunghi anni, rischia di inaridirsi!
La quaresima mi è data come opportunità per guardare onestamente a me stesso, per vedere se i frutti che produco sono gustosi o acerbi. Per vedere se la cura che Dio rivolge nei miei confronti mi fa crescere rigoglioso o se, piuttosto, rischio di richiudermi in me stesso, nutrendomi della linfa solo per vegetare.
È così bello sperimentare le attenzioni di Dio!
Ma lo riusciamo a fare solo se, come dicevamo domenica scorsa, il nostro sguardo si spalanca oltre l’ovvio, oltre il quotidiano.
Anche il dolore, allora, può essere letto in una prospettiva diversa.
Nonostante la sofferenza, il Dio che Gesù è venuto a raccontare è buono.
Commenti
Posta un commento