Isis, i reclutatori e la filiera balcanica
Il ruolo chiave non è tanto quello delle moschee presenti sul territorio, quanto quello di un nucleo di personaggi che hanno abbracciato l’islam radicale e che a quelle moschee si appoggiano per fare opera di sensibilizzazione e reclutamento. Il commento del sociologo Marco Orioles
Tutto cominciò nel Natale del 2013, quando da Longarone scomparve l’imbianchino bosniaco Ismar Mesinovic col figlioletto di due anni. Era partito per la Siria insieme al macedone Munifer Karamaleski, residente nella vicina Chies d’Alpago. Mesinovic morirà poche settimane dopo sotto i colpi di un cecchino dell’esercito siriano. Da allora si sono perse le tracce del bimbo, anche se sono circolate delle foto inquietanti che lo ritraggono in divisa jihadista.
Le indagini cominciate allora hanno scoperchiato la cosiddetta filiera balcanica, una capillare rete di reclutamento che ha lo scopo di assoldare immigrati residenti nel Nordest accomunati dalle radici ex jugoslave. È stata definita una filiera per due motivi. Perché al suo vertice c’era una mente, l’imam Bilal Bosnic, predicatore radicale con vent’anni di attività itinerante alle spalle, che due anni or sono visitò numerosi centri islamici del nostro paese, incluso quello di Pordenone, a tessere le lodi dello Stato islamico. E perché Bosnic si costruì una cerchia di sodali incaricati di consolidare la sua azione di propaganda e avviare persone sul sentiero del jihad.
Aijhan Veapi, il macedone arrestato venerdì a Mestre, era a quanto pare il più stretto collaboratore di Bosnic, incaricato non solo di proseguire la sua opera di persuasione ma anche di fornire supporto logistico agli aspiranti combattenti. Grazie ai suoi buoni uffici, sono partiti per il jihad, oltre ai già citati Mesinovic e Karameleski, anche il pachistano Umar Baig, figura nota a Pordenone per aver sposato in prime nozze la figlia dell’imam della locale moschea.
Le indagini avviate a seguito del caso di Mesinovic hanno evidenziato però anche altre connivenze. Lo scorso 21 maggio un decreto del Ministero dell’Interno ha espulso dal territorio italiano un altro macedone di Azzano Decimo,Arslan Osmanoski, anch’egli seguace di Bosnic. Un identico provvedimento ha colpito il marocchino Anass Abu Jaffar, particolarmente attivo sul web dove svolgeva un’intensa attività di proselitismo. Sulla sua pagina Facebook “Scienza del Corano” aveva annunciato il decesso in Siria di Mesinovic con parole eloquenti: “Che Iddio Abbia misericordia del mio carissimo fratello Ismar e lo accetti tra i Martiri”. Sebbene le autorità non abbiano fornito chiarimenti, è probabile che anche l’espulsione da Udine del trentunenne kosovaro Mevait Kokora sia legata a questo giro pericoloso di frequentazioni.
La filiera balcanica offre preziosi insegnamenti a chi si sta occupando di ricostruire il sentiero che dalla propaganda jihadista, veicolata da predicatori senza scrupoli e quanto mai presente sul web, porta alla militanza. Il ruolo chiave non è tanto quello delle moschee presenti sul territorio, quanto quello di un nucleo di personaggi che hanno abbracciato l’islam radicale e che a quelle moschee si appoggiano per fare opera di sensibilizzazione e reclutamento. Questo significa che il vero pericolo per il nostro paese non è rappresentato dalle moschee, se si eccettuano quelle che dovranno spiegare i motivi per cui hanno deciso di aprire le porte a Bilal Bosnic, quanto dai soggetti che vi si infiltrano per adescare fedeli suscettibili di maturare il sogno di diventare combattenti del jihad.
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