Pakistan, due cristiani condannati a morte per un sms “blasfemo”. Ma sono analfabeti
Marito e moglie sono stati processati in carcere senza prove. L’uomo è disabile e in gravi condizioni di salute. Appello degli avvocati alla Corte suprema di Lahore.
In Pakistan due cristiani, marito e moglie, sono stati accusati ingiustamente di blasfemia e condannati a morte. Lui si chiama Shafqat Emmanuel, lei Shagufta Kausar. A denunciare la coppia, residente a Gojra, nella regione del Punjab, è stato nel 2013 l’imam locale, Maulvi Mohammed Hussain, secondo il quale l’uomo gli avrebbe inviato un sms contro Maometto utilizzando il cellulare della moglie.
LA CONFESSIONE. Shafqat Emmanuel, paralizzato dalla vita in giù, aveva inizialmenteconfermato l’accusa a proprio carico, nonostante sia analfabeta (e dunque incapace di scrivere sms. Successivamente, però, ha spiegato che la confessione gli era stata estorta con la minaccia: «Nessun uomo può sopportare di vedere sua moglie torturata dalla polizia, perciò, per salvare mia moglie, ho confessato», ha detto.
TELEFONO RUBATO. I coniugi sono stati arrestati e condannati a morte nonostante un’altra stranezza della vicenda: secondo i loro difensori, il cellulare “implicato” nel presunto reato di blasfemia era stato rubato mesi prima del fatto, e la sim card di Shagufta Kausar presentata dall’accusa sarebbe falsa.
Adesso gli avvocati, date le condizioni fisiche preoccupanti di Emmanuel, hanno fatto ricorso alla Corte suprema di Lahore, che dovrebbe pronunciarsi sul caso il 5 marzo. La mancanza di cure avrebbe causato al cristiano imprigionato l’insorgere di piaghe da decubito e la sua salute è deperita al punto da mettere in pericolo la sua vita.
Adesso gli avvocati, date le condizioni fisiche preoccupanti di Emmanuel, hanno fatto ricorso alla Corte suprema di Lahore, che dovrebbe pronunciarsi sul caso il 5 marzo. La mancanza di cure avrebbe causato al cristiano imprigionato l’insorgere di piaghe da decubito e la sua salute è deperita al punto da mettere in pericolo la sua vita.
ABUSI “LEGALIZZATI”. La legge sulla blasfemia del Pakistan è stata spesso criticata dalle associazioni e dai politici che si battono per la libertà religiosa nel paese. Non solo perché prevede il carcere a vita e la pena di morte per reati dai confini molto labili e facilmente utilizzabili come arma contro le minoranze (si veda, su tutti, il caso di Asia Bibi), ma anche perché viene spesso sfruttata per portare a termine vendette e risolvere questioni personali. Senza dimenticare che almeno sessanta persone sono state linciate e uccise prima che il loro caso fosse definitivamente chiuso da un processo, solo perché erano accusate di avere “offeso l’islam”.
UNA «SPERANZA». Tuttavia i diversi tentativi di modificare la legge non hanno avuto successo. Al contrario il ministro Shahbaz Bhatti è stato assassinato proprio per la sua battaglia contro queste norme. Due settimane fa, però, Muhammad Khan Sherani, presidente del “Consiglio dell’Ideologia Islamica”, uno degli enti religiosi più importanti del Pakistan, ha fatto ben sperare con la sua apertura a eventuali modifiche della legge. Una notizia accolta come «speranza» dal vescovo di Lahore Sebastian Shaw, il quale ha ricordato che «l’abuso della legge, utilizzato per altri scopi, fa male a molti pakistani, musulmani e cristiani, e a tutte le religioni, distruggendo ingiustamente le vite di molte persone innocenti».
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