C’era una volta una bella vite con tanti bei tralci attaccati a lei. Fra questi vi era il tralcio Uvi che viveva attaccato a quella vite: nella vite aveva la sua abitazione, dalla vite prendeva tutto, della vite si alimentava.
Quel tralcio cresceva proprio bene e ogni anno dei bei acini d’uva potevano essere raccolti da lui. Ma ad un certo punto nella testa del tralcio Uvi cominciarono a girare idee strane. Cominciò a brontolare poiché non ci stava più a stare attaccati a quella vite. “Sono stufo di stare lì attaccato alla vite. Voglio vivere per conto mio e fare quel che mi pare e piace.” In più il tralcio Uvi non sopportava che si facessero i complimenti solo alla vite per l’ottimo vino che si faceva con i suoi acini. Voleva arrivare a dire: “Ecco che bel grappolo d’uva. L’ho fatto io!”.
Il progetto di fuga fu presto fatto: si trattava di dare lo strappo giusto proprio nel momento in cui stava arrivando una folata di vento e… via, avrebbe salutato per sempre quella vite che era stata la sua casa finora. E il momento della fuga arrivò: proprio in occasione di una folata di vento, Uvi diede uno strappo così forte che all’istante si strappò via dalla vite e si ritrovò in un campo tutto solo. Ma la vita che tanto aveva sognato si presentò per Uvi subito dura. Che cosa stava succedendo? Piano piano divenne debole debole. Le foglie cominciavano ad appassire. Non passarono molti giorni e scoprì che nessun alimento più entrava in lui e così si seccò. Si sentiva morire. Altro che bella uva. Uvi fece appena in tempo a rendersi conto che senza la vite sarebbe morto. Ma ormai era troppo tardi:dopo pochi giorni morì.

Gesù, tu sei la vite e io il tralcio.
Fammi rimanere in te,
con la mente col cuore con il desiderio 
di volere con te e come te, 
quello che piace al Padre. 
Non smettere schizofreniche corse fuori da Te, 
in rottura con Te.
E fammi credere vitalmente che, 
se ho il coraggio di restare unito a te, 
porterò frutti come quando e tu vorrai. 

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