L'eroica audacia della semplicità
di Maddalena Negri
«Quando mi vedono, tutti si preoccupano e mi domandano: ”Una mina, in Afghanistan?” e io rispondo: “No, A14!”».
- Sorriso simpatico, sguardo beffardo, risata contagiosa, faccia da schiaffi, nella sua impeccabile divisa da alpino, al raduno nazionale di asti, ai microfoni del telegiornale delle 13. Così si presenta Ferdinando Giannini, anni 38, che ha recentemente acceso il braciere dei Campionati invernali paralimpici, svoltisi a Torino lo scorso gennaio.Ma perché “si preoccupano? Perché al caporale Ferdinando Giannini è stata amputata una gamba. L'A14 è una semplificazione, naturalmente, come spiega immediatamente dopo: «Ero in licenza, c’era una macchina cappottata, sono sceso tranquillamente a soccorrere e, dopo esserci riuscito, è arrivato questo camion, che mi ha investito.»Ciò che disarma è la sua semplicità, quando aggiungere « È una cosa normale aiutare il prossimo, soprattutto quando si indossa una divisa, o si ha il cappello alpino!»Normale. Insomma, non è mica un eroe.Non si è mica messo in gioco fino a rischiare una vita e pagare con una gamba il proprio atto di generosità!No, è normale.Come a dire: non chiamatemi eroe, non ho niente di speciale da raccontare, nulla di straordinario da annoverare. Ho fatto solo quello che tutti dovrebbero fare, ciascuno per proprio conto.Peccato - è qui che nasce l’imbarazzo - che non sia sempre così. Sappiamo bene come sia difficile la gratuità, quanto siamo assorbiti da noi stessi, specialmente quando siamo in viaggio, magari per piacere. La tendenza, sempre più diffusa, è rinchiudersi in se stessi, pensare ai propri problemi e, magari, anche piangersi un po’ addosso.Poi arriva un giovane qualsiasi, con quel sorriso indomabile sul volto, che non mostra alcun rimorso per aver scelto di spendersi per gli altri, anche se questo ha significato rimettersi un arto e, per la disattenzione o la superficialità di qualcun altro, ha finito con il dover essere soccorso a sua volta, in quel tratto dell’A14 compreso tra i caselli di Lanciano e Val di Sangro, il lontano 8 novembre del 2002.Un destino beffardo, che pare essersi accanito, con un assurdo contrappasso, sulla buona volontà di un uomo qualsiasi, trovatosi a passare per la stessa strada di un malcapitato che aveva un incidente. Quasi un buon Samaritano, ma con un epilogo meno felice.
- A qualcun altro è andata peggio. Si chiama Vinny Desautels. A cinque anni, vedendo la madre parrucchiera preparare parrucche per bimbi malati di cancro, decise di dare il proprio contributo e, affrontando le beffe dei compagni di scuola, per due anni lasciò crescere i suoi lunghi e lisci capelli biondi, per poterli donare a chi li aveva persi a causa delle cure per il tumore. A marzo, li tagliò. Mentre chiudeva la busta, avvertì un bruciore all’occhio, che i genitori inizialmente associarono ad allergia. In seguito, accusò un dolore al ginocchio. Il fatto determinante fu un nodulo sul fianco sinistro: a Vinny è stato diagnosticato un tumore all’osso pelvico, al quarto stadio. Ora tocca a lui combattere un cancro, maligno ed aggressivo, in prima persona. Quasi un incomprensibile contrappasso al suo interesse per il prossimo, che non conosceva, ma che sapeva essere nella sofferenza.
Qualcuno urlerà all’ingiustizia, in tanti si rimarrà perplessi, inevitabilmente, forse, ci verrà di domandarci che senso ci sia in tutto ciò. Perché episodi del genere, paiono del tutto insensati ad uno sguardo miope, incapace cioè di guardare lontano.
Perché a guardare le cose da vicino, in molti casi, c’è davvero solo da “urlare contro il cielo”, protestando una mancanza di senso. Perché, finché non riesci a vederlo, il senso per te non c’è. Anche se c’è, a noi pare non ci sia, almeno fino a che non lo vediamo. È più forte di noi.
Chi crede, si affida alla fede, che, in parole spicciole, fiducia in quel Dio - Papà capace di dare sempre ciò che è buono, anche quando noi ci ritroviamo incapaci di accorgerci della bontà ricevuta, attraverso doni che paiono beffe.
Tutto ciò che non riusciamo a comprendere ci risulta ostico, misterioso e quindi - in un certo qual modo - proprio per questo a noi nemico ed ostile. Perché, a dirla tutta, anche per chi ha fede, è oltremodo impegnativo che l’unica risposta sia percepibile solo in un aldilà, troppo distante dai nostri sensi, che, magari ci ingannano, ma a cui facciamo affidiamo ogni giorno nelle facezie della quotidianità, per cui, almeno un po’ ci crediamo che qualche chiarimento possano darlo.
Forse, l’unico altro appiglio che possiamo avere, di fronte ai risvolti più misteriosi e difficili da comprendere della vita risiede in questa fraternità umana che, quando riusciamo a percepirla come reale e palpabile, riesce a dischiuderci qualche verità su noi stessi già “qui ed ora”.
Il primo senso nasce proprio dal fatto che quello che è capitato a Vinny o Ferdinando ci spinge a porci interrogativi che, senza loro, forse non ci porremmo mai, perché è molto più comodo allontanarli con una manata dalle nostre quiete esistenze, nell’illusione che “tanto non ci capiterà mai”.
Il secondo senso è che, forse, questo semplice interrogarci può condurci magari non ad una comprensione totale - possibile solo all’onniscienza divina - ma, magari a lasciare che queste domande scavino un po’ in profondità; non solo nella mente, ma anche nel cuore: magari, è il primo passo verso una decisione concreta, un cambiamento, una messa in discussione di qualcosa che fino a quel momento pareva certo. Perdere certezze non è per forza un male: alle volte, è il primo strumento a nostra disposizione per cercare nuove vie e migliorare noi stessi.
Forse, il terzo senso, quello più profondo, è accettare di non essere perfetti. Capire di avere tanto da imparare, innanzitutto dalle altre persone, per potersi migliorare. Accogliere il mistero come parte integrante della vita, nella consapevolezza che, nell’intreccio di questo mistero con il nostro quotidiano, potremmo addirittura riuscire a “fare della nostra vita un capolavoro” (seguendo l’invito di Giovanni Paolo II, nel Giubileo del 2000).
Forse però, per riuscire in questo grande percorso fatto di piccoli passi, la prima azione da compiere è farsi penetrare dalla certezza che non esiste capolavoro che non sia costituito di pennellate feriali, distribuite con passione e dedizione in ogni istante della nostra vita. Compresi quelli che ci sembrano inutili, insignificanti e - soprattutto - ripetitivi: nulla è ripetitivo, se il nostro è un Dio, abituato, da millenni, a “fare nuove tutte le cose!”
Commenti
Posta un commento