Né sopravvissuti,
né sopravviventi
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: “Ho sete”....
Muore di sete. Sete d’acqua. Sete d’aria. Sete di compassione. Sete di vita. Un attimo in più. Un respiro ancora. Un po’ d’arsura in meno. Una parola che rompa la solitudine. Muore come me e come te. Uomo come me e come te. Lui, anche Lui, per quella sete, incapace di garantirsi da sé un solo istante in più di vita, di trattenere la felicità più di quanto essa si concede, di allontanare repentinamente il dolore quando si presenta.
Lui, anche Lui, precario e fragile, bisognoso e mendicante. Segnato da quella mancanza originaria che fa della pienezza di vita un lavoro mai concluso e sempre in corso d’opera. Che non sia proprio l’inestinguibile sete del bisogno a far credere all’uomo di essere un «vuoto a perdere», a farlo dubitare di una pienezza possibile, a spingerlo a guardare con sospetto le promesse di un compimento ultimo?
«È compiuto». Il Vangelo della Croce è l’ossimoro di un uomo che parla di compiutezza mentre si lascia svuotare di ogni cosa. Perché compiuta è anzitutto l’opera del Padre, ma compiuto e completo è anche Lui nell’adempimento del Suo volere. Compiuto nell’essere assetato e mancante, completo nell’essere svuotato e mendicante.
Può esserlo solo chi ha fatto del vivere in pura perdita di sé la propria realizzazione. E Lui è uno che ha scelto di placare la propria sete offrendo il proprio sangue come bevanda e di saziare la propria fame donando la propria carne come cibo.
Completo e compiuto in quel volontario svuotarsi, al punto che il suo ultimo respiro non è il trionfare furtivo della Ladra di vita, ma l’espressione della volontà estrema e determinata del fare di sé un’assoluta offerta. A Lui nessuno toglie la vita. Lui la depone e la riprende quando vuole. Il Suo compiersi da uomo non è perciò la riuscita nell’affannoso ed egoistico tentativo di colmare il serbatoio della propria esistenza, crepato dalle falle del bisogno, bensì la lieta volontà di essere comunque sorgente, libera, gratuita, senza misura.
Così, d’altronde, è il Padre Suo: Colui che ha la Vita e la dona senza misura, come una fonte che zampilla per chiunque voglia attingerne. Egli sa il Padre. Egli sa la Vita, quella senza fine, quella che viene dal Padre, quella che nessuno può rubare. Egli sa che non c’è altra pienezza di Vita se non in Colui che ne è la sorgente: solo chi è nel Padre ha la Vita e compie il proprio bisogno.Nello svuotarsi di sé in pura perdita c’è tutto il Suo essere nel Padre, per il Padre, con il Padre. Perciò la Parola della Croce, da subito, è parola di Vita, parola di Resurrezione.
Guarda quella Croce, ascolta il grido della sete, assisti al compiersi del destino del Figlio, respira l’alito dello Spirito e innamorati di quel mistero di abbondanza di Vita che il Dio narrato da Gesù Cristo. Un Dio che non vive se non per far vivere, che ama perché ci si ami, che è perché tutto possa essere. Sempre e per sempre.
La conversione comincia quando ci si innamora perdutamente del Padre della Vita e del Volto di Lui che splende luminoso in quello di Cristo. Quando ci si appassiona al fiume di Vita che esce da Lui tuffandovisi e bevendo a piene mani, divenendone servi umili, miti e forti. Quando ci si abbandona sereni alla corrente del Suo inesauribile donare la Vita, consapevoli che Lui ne è e ne sarà la sorgente, il custode, il garante.
La conversione comincia quando si vede e si crede alla Pasqua di Cristo. Perché i cristiani non sono chiamati a vivere come sopravvissuti o sopravviventi, ma come coloro che sanno il Padre e sanno di vivere, oggi e per sempre. Perciò smettono di fare della fede un banale riempitivo che compensi qualsiasi mancanza altro genere, ma ne scoprono la virtù vivificante che li fa diventare sorgenti zampillanti per il mondo.
È allora che cominciano a non considerare più alcun uomo loro nemico, a tollerare ogni offesa, a usare la mitezza come unica arma, a fare della condivisione la legge economica più forte, a usare misericordia senza misura, a salvare la persona anche a scapito della Legge, a raggiungere chi è lontano, a dare una famiglia – la loro famiglia – a chi non ce l’ha e soffre da solo. A vivere in pura perdita di sé, col sole della Resurrezione a scaldare il petto e sulle labbra le parole della Pasqua: «È compiuto».
Cristiano Mauri
(articolo tratto da www.labottegadelvasaio.net)
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