Un ricco senza misericordia

Il termine “epulone” non è più usato nel linguaggio comune; eppure quasi tutti sanno che l’espressione “il ricco epulone” fa riferimento a una parabola di Gesù che solo Luca racconta nel suo Vangelo (16,19-31). Il personaggio in questione è appunto un signorotto egoista e gaudente.
 
La scena ha colori molto “orientali”: un palazzo ha una grande sala per banchetti con una mensa imbandita; il padrone con i suoi ospiti gusta i manicaretti e si pulisce le mani unte di grasso con mollica di pane che poi getta a terra; sulla soglia del portale d’ingresso c’è, invece, un povero seduto per terra che allunga gli occhi, bramoso di sfamarsi anche solo con quei frammenti di pane, e oggetto soltanto della misericordia dei cani. 
 
È curioso notare che tutti i personaggi delle parabole di Gesù sono anonimi, tranne questo povero disgraziato che porta il nome di Lazzaro: l’anagrafe civile certamente lo ignorava, quella del Regno dei cieli, invece, lo registra a memoria perenne. Ma qual è il legame con il tema della misericordia e della famiglia? La risposta è nel quadro successivo, aperto da una frase forte nel suo apparente parallelismo: «Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto» (16,22).
 
Anche i ricchi muoiono e, come suggerisce il Salmo 49, «quando il ricco muore, con sé non porta nulla né scende con lui la sua gloria» (v. 18). Si apre, così, un orizzonte trascendente oltre la soglia della morte e qui avviene un ribaltamento radicale: il povero è nello splendore dell’assemblea divina con il patriarca Abramo e coi giusti, mentre il ricco egoista è nelle fi amme degli inferi, assetato e affamato. A questo punto entra in scena la famiglia dell’“epulone”, i suoi cinque fratelli che egli vorrebbe salvare da un così atroce destino.
 
Vanamente il ricco chiede un segno clamoroso come il suo ritorno sulla terra per convertirli alla misericordia. Questo mutamento deve, invece, avvenire per scelta personale, senza voci misteriose e prove emozionanti. Basta la voce della Parola divina, che spinge ininterrottamente alla giustizia e all’amore, a far cambiare vita. In altri termini, se desideriamo che la nostra famiglia entri nella gloria che Dio riserva ai giusti, è necessario che quaggiù la nostra testimonianza di misericordia sia forte e chiara, in parole e opere.
 
La parabola, perciò, diventa un appello all’educazione quotidiana alla generosità che i genitori devono svolgere nei confronti dei figli. È triste che persino madri e padri cristiani non vogliano accogliere nelle loro città o quartieri profughi e miserabili perché disturbano il benessere dei loro figli. La parabola del ricco epulone ci ricorda che già ora, nello scorrere dei giorni, si decide il nostro destino futuro.
 
Gesù l’ha ripetuto in quel grandioso affresco sul giudizio finale ove tutti saremo esaminati sulla misericordia nei confronti degli affamati, degli assetati, degli stranieri, dei nudi, dei malati e dei carcerati praticata durante l’esistenza terrena (vedi Matteo 25,31-46).

 
Gianfranco Ravasi
 

(articolo tratto da www.famigliacristiana.it) 

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