Forse è stato a causa del raffronto con alcuni tifosi violenti di altre nazionalità, che hanno messo in difficoltà le misure di sicurezza attuate dalla polizia francese, attirando polemiche a livello nazionale ed internazionale, che il tifo irlandese ha conquistato le luci della ribalta.
Basti pensare ad esempio a quanti sospetti di terrorismo, immediatamente rilasciati, hanno poi nuociuto, per capire da quale preoccupazione siano spinte queste polemiche. Preoccupazione comprese, ma, forse, in questo caso, non appropriate.
Vedere nuovamente scene di violenza ha fatto male. Ha fatto male a chiunque ami lo sport e lo consideri occasione di confronto, di sfida, di duello, magari di sfottò, eventualmente, ma certo non di evento bellico o violento. Ma, al contrario innanzitutto un modo per divertirsi in compagnia, per esprimere amore per la vita e per la bellezza. Perché, nello sport, queste componenti sono fondamentali e, in un certo senso, in quelli di squadra diventano forse più evidenti perché, nell’unione degli intenti, è possibile raggiungere quei risultati che, da solo, nessun campione, per quanto bravo, riuscirebbe mai a conquistare.
Dicevo che forse tutta quest’ondata di simpatia per i ragazzi in verde, ma in particolar modo per i loro sostenitori è forse difficile da capire, se slegata dal tifo violento che altri hanno purtroppo attuato, all’inizio di questa manifestazione calcistica. Sembra facciano cose straordinarie, ma in realtà non fanno altro che far sembrare straordinario l’ordinario.
Ma non sono loro il problema, bensì noi. Siamo noi a non essere più abituati al bene, al bello, al vero. Siamo noi assuefatti al peggio di ogni cosa, che preferiamo rinunciare ad una partita allo stadio con i bambini perché non consideriamo gli stadi sicuri e, anzi, invece di invocare rispetto affinché tutti possano divertirsi, giustifichiamo i violenti, lasciando che li trasformino nel luogo in cui sfogare la loro rabbia repressa. Perché ormai ci sembra strano che avversari cantino insieme, insolito che uno straniero venuto per turismo familiarizzi (a suo modo!) coi locali, perfino agghiacciante la sola ipotesi che un gruppo di nerboruti tifosi di calcio si organizzi con gioco di squadra invidiabile non per demolire vetrine, ma per cambiare una ruota ad un’automobile, oppure cantare la ninna nanna a un infante su un mezzo di pubblico trasporto. Se sono le piccole cose semplici a cambiare davvero il mondo, posso dire che loro stanno dandoci un contributo non indifferente alla causa. Facendo quello che chiunque avrebbe visto loro fare in qualunque strada d’Irlanda, da Kilkenny a Cork, a Dublino, al Connemara, perché al gente d’Irlanda è gente semplice, abituata al profumo del pesce, all’odore salmastro dell’Oceano Atlantico, al verde scintillante dei loro prati, al bianco candore delle loro pecore e a quelle straordinarie scogliere a strapiombo sul mare che non possono che farti pensare a come questa vita straordinaria sia anche capace di metterti in difficoltà e mostrarti l’abisso, proprio di fronte agli scenari più mozzafiato che esistano. Perché la gente d’Irlanda ama la musica, la compagnia e le chiacchiere; sa essere accogliente e ascoltare una storia come ascolta i racconti del vento, del mare e dei boschi.
Forse influenzati dalle abituali consuetudini in voga nel rugby (maggiormente famoso, praticato e supportato nel loro Paese), hanno esportato, nel calcio, lo stesso stile. Amichevole, folcloristico, pittoresco, talvolta anche goliardico e “caciarone”: perché questo è lo stile che potrai trovare in una partita di rugby, specie se vissuta in Irlanda. E dico vissuta non a caso, perché partecipare ad una manifestazione sportiva come può essere il 6 Nazioni con lo spirito con cui lo affrontano, significa davvero viverlo intensamente. Forse sarà banale dirlo, ma hanno saputo esportare il bello del rugby e, mescolandolo al brutto del calcio, sono riusciti a ridare speranza a tanti che ormai erano rassegnanti ad un calcio come mondo scintillante di soldi a palate, gol pochi, fedeltà zero, ma soprattutto tanta violenza e tante vicende estranee ad esso pronte ad inquinarlo. Hanno inzuppato un biscotto di colori, musica, allegria, spontaneità, voglia di vivere, nel latte rancido di un calcio che aveva dimenticato lo splendore autentico dei suoi albori.
Giusto perché la festa sia completa, perché l’Isola possa riassaporare quell’unione che, finora, solo il rugby le aveva fatto assaggiare (unico sport nel quale i giocatori dell’Irlanda del Nord, istituzionalmente ancora legata al Regno Unito e quelli della Repubblica d’Irlanda vestono un’unica maglia), perfino l’Irlanda del Nord ha passato il turno. Forse è vero che i “miracoli” (pur se si tratta solo di un piccolo miracolo sportivo) accadono. Piccoli miracoli che proiettano però verso un destino di speranza, in cui davvero sia possibile che, nonostante i diversi obiettivi dei singoli, si possa scendere in piazza e cantare tutti insieme, anche se si proviene da nazioni diverse, si parlano lingue diverse, ma si può pur sempre comunicare con sorrisi, musica e strette di mano. Perché a volte, bastano solo piccoli gesti semplici a rendere il mondo un po’ più fraterno.
“Believe” avevano scritto su tante sciarpe verde-bianco-arancio, che sventolavano con aria di festa, in ogni dove del suolo francese. “Credere”. Ci hanno creduto abbastanza da riuscire nell’impresa, che sicuramente pochi davano per scontata o anche solo probabile.
Per non essere incompleti, è giusto dire che non sono stati l’unica sorpresa di questa prima fase dell’Europeo. Novità è senz’altro anche il passaggio di turno dell’Islanda o dell’Ungheria, a scapito di nazioni più blasonate, come Svezia e Austria (quest’ultima battuta proprio dall’Islanda, nell’ultima partita del girone). Quasi a ricordarci che, nel calcio come nella vita, niente è scontato, perché ogni partita inizia sempre da un risultato di parità (0-0), chiunque siano le squadre che si stanno affrontando e qualunque siano i record posseduti o meno dell’una o dell’altra parte: ognuno dei due contendenti ha 90 minuti di tempo a disposizione per ribaltare statistiche, pregiudizi e cliché.
La verità è che quest’allegra tribù di elfi provenienti dall’isola di Smeraldo ci ha regalato un sogno che vale molto di più di questa loro “storica” qualificazione alla seconda fase del torneo europeo (evento che non si è mai verificato, fino a ieri sera, dal momento che le ultime due partecipazioni verdi all'Europeo si sono concluse nella fase a gironi). Ci ha regalato la gioia di un tifo pulito, bello da vedersi, capace di creare simpatia, spezzare pregiudizi, oltrepassare confini e costruire le premesse per qualcosa di bello. Fosse anche solo la possibilità di un’Europa che non sia solo la rappresentanza di interessi bancari di pochi, ma la condivisione della ricchezza umana dei molti.
Forse sono troppo ottimista e sto assegnando un ruolo eccessivo a un nugolo di persone in “gita turistica” in Francia per motivi sportivi. Tuttavia è anche vero che solo scelte di tanti singoli, ripetute nel tempo, potranno costituire quel cambiamento significativo che ognuno di noi sogna di vedere nel mondo. Dunque, se loro ci hanno dato l’esempio, a noi tocca diffonderlo, non solo nel calcio, non solo nello sport, ma come lo stile di vita di chi sa vedere nel volto di ogni uomo e donna che incontro sul cammino un mio fratello.
Buon cammino, allora: qualunque sarà il risultato, chi è partito vincente, non può che uscire vincente!
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