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Favole e parabole
Forse a Gesù non interessava tanto che i discepoli capissero le sue similitudini quanto che respirassero l’ossigeno e i discorsi della sua persona
ANDREA PANONT
Questa mattina mi sono complimentato con Tina che ha portato in ambulatorio la sua piccola Monica di tre anni, bisognosa di inalazioni. È risaputa la difficoltà di tenere fermo un bambino e di fissarne l’attenzione sulla stessa cosa anche solo per pochi secondi.
Un monumento lo merita la scena curiosa e istruttiva a cui ho assistito: passo vicino alla sala aperta per l’aerosol. Sento una voce, alta e appassionata, leggere una favola di mia conoscenza: quella di Cippi e Cioppi.
Butto lo sguardo e vedo la mamma Tina con in braccio la piccola Monica di fronte all’apparecchio inalatore. Affinché la bambina tenesse la faccia diritta e correttamente ferma per l’inalazione, la mamma reggeva con la sinistra, sopra il bocchettone fumogeno, il libro della favola, resa affascinante da colorate illustrazioni che attiravano gli occhietti della piccola.
M’accorgevo che, quando l’attenzione alla favola tendeva a diminuire, nella voce della lettrice aumentava la passione e il coinvolgimento alla trama. Risultato: la piccola Monica, in quei pochi minuti, attratta dalle immagini colorate e dal racconto della mamma ha potuto respirare salute.
Ma… forse – mi sono detto – anche Gesù usava lo stesso metodo per attirare a sé i suoi discepoli. Li invitava a stare all’aria aperta, a godere le immagini dei gigli del campo e la libertà del volo degli uccelli.
Forse a lui non interessava tanto che capissero le parabole, le similitudini che raccontava…; ma a lui premeva che, seguendolo e ascoltandolo, si appartassero dal groviglio del mondo e, in disparte, respirassero l’ossigeno e i raggi della sua persona.
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