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“Il figlio sospeso”: il dramma dell’utero in affitto arriva al cinema
Ad autunno esce nelle sale la storia scritta da Egidio Termine che parla di questo tema, denunciando il postumanesimo che vuole ridefinire l’antropologia
FEDERICO CENCI
“È un viaggio drammatico, conflittuale”. Così il regista palermitano Egidio Termine descrive l’esperienza che vive Lauro, protagonista del suo film “Il figlio sospeso”. Nelle sale cinematografiche dal prossimo autunno, affronta il tema della maternità surrogata sviscerando le più intime ripercussioni di questa pratica.
Spinto dal desiderio di affrancarsi da uno stato di sospensione della sua identità, Lauro affronta un cammino – commenta il regista – “doloroso ma necessario, perché gli restituisce una maturità interiore” nel momento in cui scopre la sua origine: un concepimento con la modalità dell’utero in affitto. ZENIT ha incontrato Egidio Termine per approfondire gli intenti della sua narrazione cinematografica.
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Perché ha voluto affrontare proprio questo tema? Si tratta di unicum nel cinema italiano…
Sì, è un unicum. Avevo lasciato il cinema vent’anni fa, a seguito di un percorso di conversione alla religione cattolica. Mi sono iscritto alla facoltà di teologia e ho studiato materie come la filosofia, l’antropologia, la sociologia. Forse perché stimolato dalle mie riflessioni intellettuali, rimasi molto colpito dal tema dell’utero in affitto. Chissà, è probabile che nella mia esperienza di vita, magari durante l’infanzia, ci sia stato un confronto anche indiretto con questa realtà che ho deposto nella memoria ed è poi venuto fuori al momento opportuno. Comunque non c’è stato un fatto scatenante mio personale alla base di questa scelta.
Quale aspetto dell’utero in affitto mette più in risalto “Il figlio sospeso”?
In questo dibattito molto attuale sulla maternità surrogata si è focalizzata l’attenzione quasi sempre sulle madri coinvolte. Come indica il titolo, il mio film narra la storia dal punto di vista del figlio, che ha diritto a conoscere la sua identità. Ma non solo, ha diritto a sapere se è stato amato oppure no. Parto dal pensiero di Donald Winnicott, considerato il “padre della psicologia infantile”, secondo cui uno sviluppo armonico della personalità parte inevitabilmente dal concepimento, dal rapporto che si crea con la madre nel grembo materno. Un figlio ha diritto a sapere se è stato amato. Se è stato amato, ne giova lo sviluppo della sua personalità.
Si tratta in questa storia di una maternità surrogata gratuita?
Sì, le due madri, quella biologica e quella adottiva, sono amiche. L’una offre per amore l’utero all’altra. Ma emerge lo stesso un conflitto interpersonale tra loro due. La madre surrogata scopre col tempo il dono della maternità e capisce che c’è un bene superiore. Quindi anche nel caso in cui l’utero in affitto è gratuito bisogna sempre fare i conti con la natura, che non può mai essere elusa.
Nei mesi scorsi in Italia il tema ha attirato l’attenzione della politica, dei media, dell’opinione pubblica. Lei che idea si è fatto di questo dibattito?
Oggi dominano i consumi, la scienza, la tecnologia, la biotecnologia. Pertanto stiamo vivendo una fase sociologica molto difficile, di passaggio dall’umanesimo al postumanesimo, in cui si vuole rielaborare l’antropologia umana dando all’uomo il diritto a ricreare se stesso partendo proprio dalla modifica dei suoi dati biologici. È una strada che conduce a scenari drammatici. Se è pur vero che l’uomo è anche un essere culturale, è anche vero che tutti i mutamenti culturali dovranno sempre fare i conti con l’essenza della natura.
A proposito dei consumi, che lei ha appena citato. Affittare un utero in cliniche dei Paesi in cui questa pratica è legale ha costi elevatissimi. Nel dibattito sulla legalizzazione dell’aborto, nel 1975, Pier Paolo Pasolini affermava che a promuoverlo fosse appunto il “potere dei consumi”. Un potere che si manifesta oggi con l’utero in affitto…
Non c’è bisogno di essere credenti per rilevare che questo aspetto evocato già da Pasolini sia molto attuale. Due giorni fa ho presentato il mio film alla Camera dei Deputati. In presenza di parlamentari, giornalisti ed altri ospiti, ho fatto una denuncia. Ho detto che stiamo vivendo un’emergenza economica tale per cui siamo così presi dai bisogni della sopravvivenza che non ci impegniamo più nella ricerca della verità. Pertanto ho fatto un appello a mantener desta questa attenzione verso i grandi temi che riguardano la nostra identità più profonda. Il mio film parla al cuore della gente. Se accantoniamo le appartenenze ideologiche e ci rivolgiamo al cuore, se ci commuoviamo e riflettiamo tutti insieme, allora possiamo davvero trovare delle risposte. A tal riguardo mi ha confortato durante la presentazione alla Camera vedere deputati di opposti schieramenti politici ritrovarsi d’accordo sulle risposte che bisogna dare al tema dell’utero in affitto.
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