TRUMP O CLINTON… E IL MALE MINORE

Matteo Gianola


Si è appena conclusa la convention del GOP a Cleveland che ha incoronato Donald Trump come candidato alle elezioni presidenziali in autunno. Sembra incredibile che anche qui in Europa si assista a un fenomeno di endorsement o di contestazione per questo o quel candidato d’oltre oceano, spesso non conoscendolo veramente e basandosi solo sulla sua immagine mediatica.
Così fu per Reagan, visto a torto come il cow boy alla casa Bianca, così oggi è per Trump che è dipinto come il populista che potrebbe trasformare gli USA nella nuova “polveriera” mondiale. Posto che, effettivamente, le dichiarazioni del candidato repubblicano siano rivolte alla “pancia” degli elettori americani, richiamando sia l’impostazione law and order, che fece la fortuna di Nixon e che è sottolineata dall’appoggio di Rudolph Giuliani a questa candidatura, sia i richiami all’impostazione di deregulation dell’economia e di stimolo al libero scambio di Reagan, le posizioni sulla politica estera presentano dei punti di oggettivo buon senso, come la ricerca di un nuovo accordo con la Russia di Putin per mitigare la conflittualità sorta in questi anni e la rinegoziazione dei trattati commerciali vigenti.
Di questi argomenti, invece, raramente si parla riferendosi alla sua rivale. La candidatura di Hillary Clinton è dipinta quasi come se fosse il baluardo di civiltà rispetto alla deriva populistica incarnata da Donald Trump quando, invece, numerose ombre si allungherebbero dal personaggio che ha conquistato le primarie democratiche.
A onore del vero anche periodici progressisti di una certa autorevolezza, come Micromega, cominciano ad analizzare la figura della candidata dem ma a molti sfugge un particolare riguardante la formazione politica di Hillary Clinton e le sue reali posizioni su argomenti “caldi” nell’agenda del governo americano.
Già quando si parla di Reagan molti ignorano che il 40° presidente degli Stati Unitinacque politicamente nel partito democratico a cui fu iscritto fino agli anni 50 quando ritenne che i candidati repubblicani, Eisenhower, prima, e Nixon, poi, fossero le persone più indicate a condurre il paese durante gli anni della Guerra Fredda ma fu solo con l’appoggio alla candidatura di Barry Goldwater, nel 1964, che ufficialmente passò al GOP, partito con cui ottenne prima la carica di Governatore della California e poi la presidenza dell’Unione.
Specularmente Hillary Clinton nacque politicamente tra i Repubblicani, proprio con la campagna elettorale di Goldwater dove lavorò come volontaria nel comitato elettorale del candidato repubblicano.
Le idee di Goldwater, infatti, sono ben visibili nell’attitudine della candidata per il Partito democratico. Poco importa che già a fine anni 60 avesse deciso di aderire ai democratici, il suo background è visibile in tutta la sua storia politica.
Forse l’impostazione liberista e libertaria di Goldwater si è offuscata nel corso degli anni, anche se le posizioni in economia della Clinton non mostrano alcuna delle idee regolatrici e interventiste che hanno, invece, caratterizzato l’uscente presidenza Obama anzi l’idea di affidare un incarico in materia al marito Bill, ispiratore di alcuni dei provvedimenti che chiusero l’era dell’intervento statale come eredità del New Deal rooseveltiano, potrebbero indicare un ritorno a una maggiore attenzione al mercato, cosa che era possibile rilevare anche dalle critiche che il candidato “liberal” alla nomination democratica Bernie Sanders aveva sollevato più volte.
Quello che deriva direttamente dalle idee di rinnovamento che animavano il GOP a metà anni 60 sono le posizioni libertarie e pro choice sui temi etici e l’interventismo in politica estera, acuito dalla successiva crescita in seno al partito democratico che ne ha fatto una bandiera da sempre.
Non si può ignorare l’azione della Clinton durante il suo incarico come Segretario di Stato, ben più intransigente e interventista rispetto a Colin Powell o Condoleeza Rice sotto la presidenza Bush, soprattutto nella gestione delle c.d. Primavere Arabe, e nella contrapposizione alla Russia.
Un osservatore attento potrebbe notare la vicinanza delle posizioni di Hillary Clinton a quelle dei Neocon o dei liberal più interventisti in seno al Partito Democratico. Certo è che una figura delineata in questa maniera si propone piuttosto differente da quella che la stampa main stream dipinge soprattutto qui in Italia, in contrapposizione a quella del “cattivo” Trump.
La domanda che sorgerebbe spontanea, quindi, sarebbe “è davvero Trump il pericolo per l’equilibrio mondiale o la vittoria della Clinton potrebbe essere origine di rischi ben maggiori a livello geopolitico”.
La risposta a questo quesito non è così semplice e questa tornata elettorale americana che, volenti o nolenti, vede noi europei meri spettatori potrebbe essere di un’importanza ben maggiore rispetto alle solite tifoserie di parte che sorgono ogni qualvolta si aprissero mediaticamente le urne aldilà dell’oceano.

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