La sua goffaggine di movimento, quand'era costretto a salire su un podio, lo faceva rassomigliare assai a Charlie Chaplin: era nato per fare tutt'altro nella vita Joseph Ratzinger. E' risaputo, però, che le chiamate divine non prevedono addestramento, gettano allo sbaraglio. Salì, dunque, sul podio, ma piuttosto che ricercare i gesti ad effetto, scelse di rimanere fedele alla sua natura: nobile nella forma, timido nel sorriso. Onestissimo nell'analisi, era pur sempre il professor Ratzinger, una stella nel cielo della teologia: «Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall'orizzonte degli uomini». Senza a néba. Nato per essere più pittore che imbianchino, «la sua specialità era saper districare le cose complicate, vedere oltre la superficie» annota il giornalista Peter Seewald nel suo libro Ultime conversazioni, scritto con Benedetto XVI.
Ultime è un aggettivo-di-tempo: potrebbero non essercene più. Alla scuola di Ratzinger, però, nulla è mai così incolore come potrebbe apparire. Capita, allora, d'esser costretti a leggere ultime come aggettivo-di-profondità: le più alte, quelle profonde, le conversazioni più vere. Le realtà-ultime: il Paradiso, il Purgatorio, l'Inferno. Che partono sempre dalle profondità della propria biografia personale: «(La mia vocazione) è cresciuta quasi naturalmente insieme con me e senza grandi avvenimenti di conversione». La radice del genio-teologico che conquisterà il pubblico con Introduzione al cristianesimo è già tutta lì, agli inizi: «Avevo le mie domande. Non mi accontentavo di un sistema predefinito, volevo capire da una nuova prospettiva». Capire, avendo prima amato, quindi pregato. E' nascosta qui la bellezza del suo costruire teologia, lo stare un passo dietro l'eccedenza del Maestro, quella ch'è sempre altrove: «La teologia – scrive in un suo saggio - è riflessione su ciò che Dio ha detto e pensato in precedenza per noi». Sono stato pensato, dunque sono, esisto: «Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio». Con buona pace dell'evoluzionismo, della casualità. Un passo dietro, per stare al passo di Dio e rendere ancora affascinante la Chiesa, senza la quale la teologia parla a nome proprio smarrendo il significato, la brillantezza, l'estetica. Sfumatura che il Concilio Vaticano II, dietro il cui sipario iniziava ad albeggiare il ratzinger-pensiero, porterà alla ribalta: «Non significava rompere con la fede, ma imparare a comprenderla meglio e viverla in modo più giusto, muovendo dalle origini». Le origini, che per lui mantengono sempre la parola: quelle di «umile servitore nella vigna del Signore».
La storia di un servo. Anche la storia del Papa di Gesù, pur diventata tale contro-voglia com'è di tutte le chiamate disposte da Dio: «La sensazione fu semplicemente quella, una ghigliottina» dice della sua elezione. Dopo un papa mistico e mariano come fu Giovanni Paolo II, l'avvento di un papa dotto e votato a Gesù. Che in materia di fede ha idee così limpide - perchè germogliate in una divina inquietudo cordis - d'essere tacciato di fondamentalismo: che la Parola di Dio «continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza di fronte a tutti i tentativi di adattamento, di annacquamento». Nessun vanto, dunque, a seguire il Cristo di Benedetto XVI: «L'importante è preservare la fede oggi. Io considero questo il nostro compito centrale». Se noi non conosciamo più Gesù, dunque, è la fine della Chiesa. Parola dell'uomo che, sentendo l'obbligo di «dire qualcosa all'umanità», ha partorito un'opera d'arte che affascina milioni di lettori, Gesù di Nazareth. Non un atto di magistero – a governare con la paura son capaci tutti, governare con la gioia fu l'umile tentativo che si giocò -, ma la personale ricerca del volto del Signore: «Ognuno è libero di contraddirmi – scrive nella premessa al primo volume -. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell'anticipo di simpatia senza il quale non c'è nessuna comprensione». Un anticipo di simpatia pare la cifra stessa del suo pontificato, una sorta di giganteschi esercizi spirituali a favore dell'umanità: «Dare agli uomini il coraggio di credere».
Per riuscire a restare un padre-fedele anche nel momento in cui parrebbe l'esatto opposto, che il padre fugga dalle sue responsabilità. L'11 febbraio 2013 – lunedì di carnevale, festa della Madonna di Lourdes – rimarrà il giorno che ha cambiato la fisionomia del papato: «Il mio momento era passato e avevo dato ciò che potevo dare (…) Anche un padre smette di fare il padre. Non cessa di esserlo, ma lascia le responsabilità concrete». Un gesto senza precedenti, il capitolo più denso del magistero-dei-gesti, la sconcertante notizia che «ogni inizio contiene una magia, costringe sempre a ricominciare daccapo». Senza scendere dalla croce, abbandonandola: «Non si è trattato di una ritirata sotto la pressione degli eventi o di una fuga per l'incapacità di farvi fronte. Uno non può dimettersi quando le cose non sono a posto». Questo è tutto Ratzinger: se non vi va bene, leggete dell'altro. Nessuno obbliga a seguire il Cristo. Se lo fate, ricordate sempre d'esser stati voi a scegliere di seguirlo: «Lo pregherò di essere indulgente con la mia miseria». E' il pensiero ultimo, che forse è sempre stato il primo, dell'uomo che per più di tre decadi è rimasto a capo della più granitica istituzione mondiale. La più ambiziosa, forse anche la più paradossale.
Il New York Post, dopo il famoso discorso all'ONU dell'aprile 2008, di Benedetto XVI scrisse: «Chi non è toccato da queste parole vuol dire che non è vivo». Eppure nella sua lapide chiede l'accortezza che ci sia «solo il nome». Meglio se a matita, verrebbe voglia d'aggiungere dopo Ultime Conversazioni. Ch'è una sorta di resoconto biografico, non certamente il canto-del-cigno, più scampoli di magistero di un papa-mistico, silenzioso. Che scrive in piccolo e a matita, che chiede anticipi di simpatia, ch'è entrato nel chiasso della mondanità, affascinandola, con una cisterna di silenzio sotto-braccio: «Il mattino, durante la messa, io ho bisogno di silenzio, di raccoglimento». Quasi un ultimo consiglio di stile: andare avanti, guardando indietro, dentro. Accecati dal Mistero ultimo.
Ch'è l'esatto opposto del cristianesimo-del-gambero.
«Lo dico con reverenza:
c’era in questa irrompente personalità un lato che si potrebbe dire di riserbo:
c’era qualche cosa che egli nascose a tutti gli uomini quando andò a pregare sulla montagna:
qualche cosa che egli coprì costantemente con un brusco silenzio,
con un impetuoso isolamento.
Era qualche cosa di troppo grande perché Dio lo mostrasse a noi
quando egli camminava sulla terra;
e io qualche volta ho immaginato
che fosse la sua allegrezza»
(G. Chesterton, Ortodossia)
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