Qualche giorno fa ha fatto molto discutere la lettera che “una mamma lavoratrice che non ce l’ha fatta” ha scritto a Beppe Severgnini (si può leggere QUI). Una lettrice del blog ha provato a risponderle.
Cara mamma,
mi chiamo M., ho due figlie, faccio l’ostetrica ed abito a Londra in quanto ho sposato un inglese. Ho letto la tua lettera e vorrei risponderti da mamma a mamma, esprimendo cosa ho imparato come donna, mamma e figlia, per cui parlo a titolo personale e non mi faccio portavoce delle donne italiane. Premetto che io non volevo fare la giornalista per cui non scrivo bene come te e soprattutto mi scuso in anticipo perché la tua lettera tocca molti punti ed è difficile rispondere a tutti.
Innanzitutto non devi sentirti una fallita perché nella tua vita hai fatto non una, ma quattro cose incredibili: i tuoi figli! Questo ha un valore immenso di per se’ e di cui dovresti essere fiera ogni secondo. Noi mamme diamo tutte noi stesse ai figli fin dall’inizio: ci prendono il corpo, lo trasformano, ti devi abituare ad un ritmo che non è più il tuo e a sopportare un dolore viscerale (sia nel partorirli che nel lasciarli andare prima del tempo). Dopo il parto della mia prima figlia ero così fiera di me stessa che guardando ogni altro uomo pensavo: tu sarai anche un super uomo in carriera, ma quello che ho fatto io vale miliardi di volte in più. E io penso che basti vivere a fianco di un uomo con 37.2 di febbre per capire che non sarebbe in grado di sostenere un travaglio per più di 30 secondi. Non è una critica al genere maschile, è la semplice constatazione che siamo fatti diversamente. Mio marito è un gran sportivo e spesso mi fa notare come in quasi tutti gli sport le prestazioni femminili siano al di sotto di quelle maschili. Questo per me non è un di meno per le femmine, perché la nostra natura e’ così. Sarebbe un di meno se le donne non potessero partecipare a certe competizioni perché donne.
Io penso che quando si parla di parità ci sia molta confusione. Io non voglio essere come un uomo, sono donna e sono fiera di esserlo! Voglio essere però rispettata ed essere trattata equamente tanto quanto un uomo, perché come ogni essere umano anche io ho i miei pregi e le mie qualità. È stato giusto lottare per avere il diritto di voto come gli uomini, per l’equità degli stipendi e per molte altre cose. E tanto é ancora da conquistare: non avere l’ansia di una gravidanza se hai un lavoro precario, non doversi togliere la fede quando si va ad un colloquio di lavoro, poter aver un orario ridotto quando si hanno i figli piccoli e molto altro.
Invece io non lotterei per le quote rosa. Ma a me non interessa avere un posto in consiglio di amministrazione perché sono donna, io lo voglio perché me lo merito. E se non me lo merito perché non posso dedicare al lavoro tutto il mio tempo e’ giusto che lo abbia qualcun altro, uomo o donna che sia. Per cui probabilmente le femministe hanno sbagliato lottando per un mondo in cui la donna possa essere come l’uomo. Io non sono un uomo perché mentre lavoro sto pensando a cosa mettere in tavola la sera, alla pila di panni da stirare e nel momento libero faccio la spesa online, mentre mio marito pensa solo al lavoro o al massimo a chi ha vinto la tappa del Giro d’Italia. Ma sopratutto io non riuscirei a sostenere orari estremi di lavoro e dovermi alzare 2 o 3 volte la notte per i miei figli (già faccio fatica a sopravvivere ai turni ospedalieri, ma ero così anche prima dei figli!). È vero che alcune donne dedicano meno energie al lavoro perché le loro energie le mettono in altro. E da un punto di vista imprenditoriale é giusto che venga premiato chi è nella condizione di spendere più energie per il lavoro.
Io lavoro in un ambiente quasi esclusivamente femminile per cui forse la mia esperienza è diversa. Però mentre ero incinta della mia secondogenita c’è stata la possibilità di fare un salto di carriera. Ovviamente non ci ho nemmeno provato perché dovevo andare in maternità di lì a poco e perché non volevo impegnarmi troppo. Il posto lo ha vinto una mia collega non sposata. Mi è spiaciuto? Un po’ si perché magari è un treno che non ripassa più, ma sono più che contenta di averlo fatto per la mia famiglia. Lei aveva più tempo ed energie da dedicare al lavoro ed è giusto che sia stata scelta lei. Non ci vedo nulla di male. Magari un’altra donna avrebbe comunque provato a prendere la posizione offerta e sarebbe riuscita a gestire lavoro e famiglia, perché ognuna di noi ha i suoi talenti. Io vorrei chiedere il part time e non si può dirigere un reparto essendo presente solo 3 giorni su 7. Conosco tante donne che spendono molte più energie di me per il lavoro e hanno famiglie stupende. Io sapevo che non ce l’avrei fatta e per questo mi son tirata indietro subito.
Vorrei semplicemente dirti che come mamma io faccio quello che posso, cerco di farlo al meglio e soprattutto di non colpevolizzarmi troppo perché penso che le mie figlie risentano più di una mamma “triste” e “colpevole” che di una mamma che a volte non c’è. A causa dei turni in ospedale spesso al mattino non le porto all’asilo, la sera vanno a letto che non sono tornata e alle volte la notte si alza solo il papà se loro piangono. Il mio lavoro è così, include Natale e ferragosto per cui le mie figlie dovranno abituarsi, così come lo ha fatto mio marito. Ma io spero che siano fiere che la loro mamma non sia li mentre aprono i regali sotto l’albero perché sta facendo nascere un bambino.
Io non ho mai pianto quando le ho lasciate all’asilo (nemmeno la prima volta in assoluto) per andare al lavoro, anche perché a me il mio lavoro piace e spero che loro vedano in me questa passione. Non mi sento in colpa se le lascio con qualcuno per andare dall’estetista o dalla parrucchiera perché mi dico che se io mi sento bene e bella si rifletterà anche su di loro. Forse è una giustificazione stupida, ma quando arrivo a livelli di monociglio imbarazzante ogni giustificazione vale! E se devo cucinare la cena è anche quello un modo per dimostrare loro il mio amore, perché va bene giocare insieme, ma la pancia vuota non piace a nessuno, tanto meno ai bambini. Cerco di non farmi prendere dall’ansia di essere una super mamma, cosa che mi accade spesso guardando i figli degli altri che sono sempre vestiti meglio, più educati, più tutto dei miei. Ma poi è questo ciò che rende un bambino felice, o una mamma brava? Ogni mamma fa quello che può, e come mi ha detto un’amica “l’erba del vicino sembra sempre più verde”.
È realtà’ quotidiana che io non ce la faccia a fare tutto, ma di questo me ne ero accorta anche prima dell’avere dei figli, loro lo rendono semplicemente più evidente. Ma il mio valore personale sta in quello che riesco a fare? Non penso. Allora o chiudo un occhio sulla casa un po più sporca e sul fatto che cucino pasta in bianco o chiamo una donna delle pulizie e prendo un piatto pronto (io sostengo che il signor Rana e’ il mio miglior amico!). E sai cosa ho notato? I miei figli mi vogliono bene allo stesso modo e così anche mio marito. Ciò che invece alla mia famiglia non piace è quando io non sto bene con me stessa e mi lamento e tratto tutti un po’ male.
L’ultima cosa la dico come figlia di una mamma poco presente. Ho dei rimpianti sia per il tempo che non ho speso con mia mamma, sia per le attività extra che non ho mai fatto nonostante lo desiderassi. Questi rimpianti fanno parte della mia storia e di come sono io. Nel diventare grande e soprattutto da quando sono mamma ho in un certo senso perdonato mia mamma per l’esserci stata poco. Ho capito che lei ha fatto quello che ha potuto, che ha fatto certe scelte (a volte anche sbagliate) partendo dal fatto che voleva il mio bene. Poi guardando i miei coetanei di allora, quelli che facevano le attività extra, non penso siano migliori o più felici di me. Io non sono solo figlia delle buone o cattive azioni di mia madre, perché la vita è una cosa molto più grande. Anche se il rapporto e la presenza della madre sono fondamentali per una buona crescita, non sono tutto e questo dá speranza a me come mamma (altrimenti i miei figli sarebbero come già fregati in partenza) e spero anche ai miei figli.
Un abbraccio,
M.
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