La condizione che libera e tutela la vita terrena

Senza il legame con il Padre, l’uomo è destinato a cadere in malo modo, pur avendo costruito imperi illimitati in qualsiasi campo umano
In una comunità come la nostra, nella quale la ricchezza materiale misura lo stato sociale di una qualsiasi persona, dire che l’uomo debba consacrarsi a Dio o al denaro, diventa un invito anacronistico, se non demenziale. D’altronde l’affanno più grande del nostro tempo è nell’inseguire una posizione finanziaria più alta possibile, superando anche i limiti della correttezza e delle norme civili e religiose a tutela del buon vivere. La strada è così tristemente tracciata. La ricerca di Dio non ha di riflesso una priorità assoluta, ma un grado di utilizzo rapportato ad esigenze temporanee o a personali filosofie, pronte a relativizzare ogni azione terrena nel rapporto con un Dio cangiabile e plasmabile a proprio piacimento.
È triste, ma spesso è la realtà. Una condizione che riduce la capacità dell’uomo di eliminare le sue angosce terrene, soprattutto dinnanzi alle mille costrizioni che stringono oggi il campo della normale convivenza umana. Eppure il vangelo che è verità, non letteratura romanzata, ci assicura che l’uomo non ha alcun bisogno di preoccuparsi per i suoi bisogni quotidiani.  Si legge in Mt. 6, 26: “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre”. Non valete forse più di loro?”.
Qualcuno potrebbe osservare che si tratti solo di belle e suggestive parole, senza però cercare di comprendere il senso vero di queste espressioni, alla luce della condizione che, nello stesso brano (Mt. 6,33), Gesù detta per il compimento di una tale grande certezza: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. Ma il mondo è forse intento a cercare il regno di Dio? Da quello che vediamo attorno a noi, non si fa purtroppo fatica ad osservare che il Signore è ogni giorno messo ai margini della contemporaneità. Un danno indecifrabile che un consumismo drogato copre con sensazioni dorate e truccate.
Nel nostro tempo le condizioni, anche se illuminate, vengono sempre confuse con l’imposizione altrui, confondendo spesso il concetto di liberà e di responsabilità civile e spirituale. La condizione evangelica perché l’uomo possa vivere senza gli affanni odierni, tra l’altro costruiti ad arte dai poteri economici e politici del momento, è un salvagente nel mare agitato della vita, non certo una imposizione per ridurre l’autonomia di scelta individuale. Anche il figliol prodigo lascia il Padre, per farsi un futuro da sé stesso, sperperando il denaro avuto in dote, senza consultare la saggezza paterna, per poi ritornare alle sue origini dinnanzi alla carestia che lo colse nella solitudine e nella indigenza assoluta.
Non fu per questo respinto, ma trovò accoglienza, perché la giustizia divina, nella revisione dei comportamenti personali scorretti, recupera l’uomo alla salvezza e non lo consegna ad una condanna senza appello. Chi cerca la casa del Padre e segue le sue leggi non sarà mai solo e ogni cosa andrà per il verso giusto. Senza questa missione individuale quanto promesso all’uomo non potrà mai realizzarsi, non per negazione del cielo, ma per l’opzione di ognuno a non credere nella Parola. Non c’è la giustizia di Dio nella quotidianità del mondo, senza la fedeltà degli uomini al suo regno.
Il battesimo, la cresima, il matrimonio sono sacramenti con i quali si promette lealtà al Creatore, osservando e vivendo il vangelo. Il beneficio che si avrà, nel mezzo di questo santo stile di vita, non potrà che essere il non “affanno” per le cose fatte o da fare, perché tutelati da quella giustizia divina che sana ogni infermità interiore e illumina qualunque questione terrena. La provvidenza del Signore non è legata a fortuiti vantaggi temporali, ma è strettamente collegata al modello vitale che si è scelto di condurre in porto, attraversando la tempesta o il sereno del proprio progetto esistenziale.
Si fa fatica stranamente a capire perché di tanta miseria fisica, spirituale, sociale! Si cercano nuove formule politiche e di mercato, girando sempre intorno all’ipocrisia e al desiderio di potere personale o di gruppo fine a sé stesso. Non si capisce che senza il legame con il Padre, l’uomo è destinato a cadere in malo modo, pur avendo costruito imperi illimitati in qualsiasi campo umano. E non si pensi che sia stato sempre così, perché non si fa altro che contribuire ad acuire in modo estremo un sentimento negativo, cobelligerante con un contorto, ma lucido pensiero demoniaco che mira alla schiavitù di ogni cuore.
Cercare il regno di Dio non significa comunque stare seduti senza far nulla, fino a quando si compia tutto ciò che si desideri o di cui si abbia bisogno. Andare, verso questo santo cammino, impegna ognuno nelle proprie responsabilità quale uomo nuovo che non tradisce il prossimo, sia esso a capo del governo nazionale o del più piccolo comune della terra; nell’amministrazione dei beni di famiglia o di quelli che interessano la collettività nel suo insieme; nel compiere un gesto solidale e fraterno verso una sola persona o di fronte al bisogno di una comunità. L’errore più grande che si consuma giorno dopo giorno è riscontrabile nel tentativo laicista di separare il progetto dell’uomo sulla terra, dal progetto celeste di Dio su tutta l’umanità.
Eppure il vangelo di Matteo è chiaro, lineare, profetico ed è destinato, nonostante l’incredulità del singolo, a suggerire fino all’ultimo giorno le condizioni che liberano e salvano, necessarie per avviarsi verso il regno di Dio. Una “ricetta” questa non imitabile, imprescindibile per guidare la terra nell’amore puro di Dio, non filtrato da quel vigente sentimentalismo estemporaneo che strappa lacrime, svuota l’anima e falsifica l’attività terrena.
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