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La corale e l’organo

“Pillola quotidiana” di padre Andrea Panont
In una chiesa di Roma assistevo tempo fa ad una cerimonia solenne: l’inaugurazione dell’organo. Per l’occasione era stato chiamato il prof. Testoni, uno dei più prestigiosi organisti, per dare fiato al pregevole strumento e rivelarne tutta l’espressività, ma soprattutto per accompagnare e sostenere la corale della parrocchia alle sue prime armi. I coristi erano tutti in splendida divisa come si conviene nelle occasioni più solenni; una corale numerosa che normalmente si esibiva a voci scoperte.
Quella sera, però, ci fu qualche problema che portò un grosso fastidio tra gli ascoltatori. Alla terza esecuzione il coro cominciò a calare. Ne derivò uno stridore insopportabile tra la perfezione della nota dell’organo e il continuo calare delle voci della corale.
Gli ascoltatori erano al limite della sopportazione, ma soffriva soprattutto l‟organista che per sostenere i cantori accentuava e irrobustiva l’esattezza della tonalità. Una specie di duello lancinante che evidenziava l‟incompatibilità dell’organo con la corale. L’organo non poteva abbassare: la nota era quella; e neppure la calante corale riusciva ad intonarsi: debole era la sua capacità.
Tra i due inconciliabili contendenti, chi far tacere? Il responsabile della serata preferì richiamare il prof. Testoni e decise, assurdamente, di far tacere l’organo. E così la corale fu libera di cantare come le era possibile, cioè calando, ma senza gli stridenti contrasti evidenziati dal confronto con la perfezione dell’organo.
Strana cosa far tacere l‟organo, il protagonista della serata. Perché – ecco l‟accusa – evidenziava troppo la debolezza e la impreparazione della corale. La serata si concluse con la sola corale a cui alla fine il pubblico concesse anche l‟applauso.
L’umanità, dal peccato originale in poi, ha cominciato a stonare e calare di tono. Dal cielo, nella pienezza dei tempi, è stato mandato Gesù con l’incarico di riarmonizzare, accordare, sostenere. Non è riuscito. Mentre intonava il canto del cielo, nascevano e crescevano i contrasti della terra, fino al “crocifiggilo”. Lui, la luce vera, non è stato accolto dalle tenebre. Si è sentito rifiutato dal “mondo tutto nel maligno” con queste parole: “Sei venuto a rovinarci?”.
I responsabili del popolo l’hanno estromesso. “I suoi non l’hanno accolto”. Il preciso intento era di far tacere la voce del vangelo, il diapason divino, che strideva a tal punto con l’umana presunzione da suonare bestemmia alle loro orecchie.
L’hanno messo in croce. Ma proprio dal Calvario esce la voce che intona il canto della vita e della resurrezione; è la voce dell’amore vero, visibile e credibile perché crocifisso; il diapason dell’amore più grande: dare la vita; è il canto polifonico dell’armonia trinitaria, è la forza incontenibile della infinita misericordia che attira tutti a sé, fino a comporre le varie voci dell’umanità nella corale della famiglia di Dio.

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