Esiste l’aldilà? La risposta di 3 antiche civiltà
La sentiamo spesso nominare, da tempo la conosciamo. La sentiamo vicina, troppo vicina. In diverse occasioni giochiamo con lei, pensando anche di vincere. Poi ci sorprende, chiudendoci gli occhi e rubandoci l’ultimo respiro. La morte arriva e senza bussare alla porta ci porta via con lei.
Cosa avviene quando si muore? Che accade quando la vita scivola via dal “nostro” corpo? Perfino gli atei, pur affermando la non esistenza nell’aldilà provano un certo timore nel rispondere con sicurezza a questa domanda. I credenti al contrario hanno fiducia in una vita dopo la morte. Eppure anche essi temono l’ignoto.
L’aldilà è un concetto connaturale all’uomo di tutte le culture e di tutti i tempi. Senza uno sguardo intelligente alle realtà ultraterrene esso, infatti, perde il senso e lo scopo della propria esistenza. La verità è che di fronte al mistero della morte bisogna porsi con umiltà.
Molte civiltà del passato hanno cercato di dare una risposta a questa domanda. Ne sono nati culti affascinanti, riscoperti grazie all’opera di storici e archeologi. Vediamo, dunque, come concepivano l’oltretomba Maya, Egizi e antichi Greci.
I Maya
La civiltà precolombiana credeva fortemente nella vita dopo la morte. Il culto religioso, le cerimonie funerarie, servivano ad aiutare lo spirito del defunto nell’aldilà. Secondo i Maya tutto assumeva una forma ciclica, vita e morte si succedevano continuamente, come la creazione e la distruzione. L’uomo era stato pensato dagli dei per custodire l’esistenza di tutte realtà viventi, e per rendere loro culto.
Il cielo era formato da 13 livelli, presieduti da oltre 160 divinità. Tra queste ricordiamo Itzamà, dio del sole, e Ah-Puch, signore dell’oltretomba. Nei culti propiziatori i Maya offrivano agli dei le primizie dei raccolti stagionali. Erano anche inclusi sacrifici animali e umani, anche se questi ultimi erano piuttosto rari.
La costruzione delle piramidi, ritrovate in Messico del Sud, rivela che il rapporto con l’aldilà era fondamentale. Il tempio fungeva da “portale” per comunicare con gli dei ed eseguire rituali magici. Quando un governatore moriva iniziava il culto propiziatorio, per garantire al defunto l’accesso nell’oltretomba. All’interno della bara, sulla testa del defunto venivano messe delle lastre di pietra, unghie e denti di giaguaro, carapaci di tartaruga e un vaso capovolto con lo scopo di proteggere il suo spirito. Nel pube erano poste delle spine di razza come dono agli dei. La bocca era riempita di mais macinato per trasmettere al morto l’energia vitale. I maya credevano infatti che gli dei avessero creato l’uomo plasmandolo con mais e acqua. Infine il corpo era colorato di rosso come segno di rinascita e avvolto in sudari di cotone. Il defunto era pronto per la sepoltura che in genere avveniva all’interno della sua abitazione.
L’uomo era costituito di corpo e spirito. Lo spirito a sua volta era diviso in due parti: una razionale e immortale che dimorava nel cuore, l’altra impulsiva e mortale che viveva in una montagna misteriosa, aveva forma animale ed era nutrita dagli dei. Con la morte, anche quest’ultima decedeva e lo spirito immortale aveva accesso al regno dei morti, il quale era tripartito in base al tipo di trapasso. Nell’aldilà era situato l’albero sacro, simbolo dell’universo, e lo spirito trovava ristoro alla sua ombra.
Gli Egizi
Escluso il periodo monoteista del XIV secolo a.C., in cui fu imposto l’unico culto al dio sole Aton dal faraone Akenaton I e dalla sua regina Nerfertiti (considerata dal popolo una dea per la sua straordinaria bellezza), gli Egiziani sono sempre stati politeisti. Più di 1500 divinità erano venerate dal popolo. Tra loro ricordiamo Rà, Osiride, Iside e Anubis.
Gli egizi adoravano il loro faraone come un dio. D’altra parte come biasimarli considerando che Zoser (o Djoser nel 2648 a.C.), fece costruire la prima grande piramide in pietra, alta più di sessanta metri. Un’opera maestosa, regale, di alta ingengneria. Al suo interno erano scavati chilometri di gallerie che si intersecavano fra loro.
Gli egizi adoravano il loro faraone come un dio. D’altra parte come biasimarli considerando che Zoser (o Djoser nel 2648 a.C.), fece costruire la prima grande piramide in pietra, alta più di sessanta metri. Un’opera maestosa, regale, di alta ingengneria. Al suo interno erano scavati chilometri di gallerie che si intersecavano fra loro.
La stanza più importante era la camera sepolcrale del faraone: nascosta e di difficile accesso per chiunque. Quando il sarcofago nella stanza, tutto veniva sigillato dall’esterno. La piramide era considera un mezzo importante per il viaggio del faraone nell’oltretomba.
L’aldilà egizio è un concetto che si è arricchito sempre più nei secoli. Inizialmente solo i faraoni potevano accedervi, poi anche al popolo era concesso presentarsi alla bilancia di Anubis. L’oltretomba era strettamente legata alla vita terrena, il corpo per risorgere doveva rimanere integro.
La morte del faraone dava inizio alla battaglia tra luce e tenebre che tutto il regno. Il corpo del faraone, nel quale era presente lo spirito Ba (l’anima che rimane a custodire il corpo), prima di essere introdotto nella camera, veniva trattato per 70 giorni. Gli organi interni, escluso il cuore (giudicato da Osiride), venivano estratti, fatti essiccare e depositati in vasi sacri. Il cadavere era lavato con mirra, cannella ed essenze profumate. Poi veniva fatto essiccare per 40 giorni in una sostanza salina. Infine dopo averlo nuovamente lavato e fatto essiccare per altri 20 giorni lo si bendava con puro lino. Sul petto veniva messo uno scarabeo simbolo della resurrezione.
Gli egizi credevano alla riunione del corpo e dello spirito nell’aldilà. Nella stanza reale sotto la piramide erano introdotti oggetti domestici, cibarie, bevande per il nutrimento del faraone. Sopra al sarcofago erano posti gli occhi del dio Horus, indispensabili per rimanere in contatto con il mondo dei vivi.
Introdotto il sarcofago nella stanza sacra il Ka (la seconda anima) iniziava il suo viaggio nell’oltretomba. Sulle pareti della tomba era inciso in geroglifico il libro delle porte (o dei morti) nel quale erano scritte le formule magiche per passare le 12 porte, presiedute da altrettanti demoni. Ad ogni ora della notte il Re d’Egitto doveva superare una prova fino al sorgere del sole. Il re defunto prima di affrontare si univa a Rà divenendo una cosa sola con il dio del sole. Alla sesta porta il faraone giungeva al cospetto del dio Osiride (dio dell’oltretomba) circondato da 42 giudici. La bilancia di Anubis aveva due piatti, da una parte veniva messo il cuore del faraone e dall’altra una piuma del dio Maat. Dopo essersi congiunto con Osiride, il sovrano superava senza difficoltà la prova di purezza. Dopo la sesta ora il Ba e il Ka (le due anime) si ricongiungevano, consentendo al faraone di risorgere insieme al suo corpo. Il re defunto era ora pronto alla decima prova, lo scontro con Apophis, demone del caos. Superato l’ostacolo, oltrepassata la dodicesima porta, il faraone entrava nell’Egitto degli dei, una dimensione beata.
I Greci
Quando i cieli si oscuravano e i fulmini scuotevano la terra; quando il mare mostrava la sua vera potenza imponendo una rotta diversa, solo una cosa restava da fare, pregare gli dei. La saggezza, l’amore, la bellezza, la caccia, la guerra, la morte, il lavoro, gli istinti selvaggi, ogni singola realtà dell’uomo e della natura erano incarnate da esseri soprannaturali. Zeus padre dell’Olimpo, Era, Poseidone, Ade (nome che indicava il dio e il regno degli inferi), erano alcune delle tante divinità onorate dai Greci. Gli dei avevano un comportamento molto simile agli uomini, si innamoravano, si arrabbiavano e non si facevano mancare scappatelle con graziose fanciulle.
Per gli ellenici la morte era un passaggio fondamentale, non solo per il singolo, ma anche per tutta comunità, la quale assisteva il defunto per ingraziargli le divinità.
Il trapasso era considerato una sorta di passaggio dal mondo terrestre a quello sotterraneo. L’anima usciva dalla bocca e si dirigeva verso gli inferi.
Il trapasso era considerato una sorta di passaggio dal mondo terrestre a quello sotterraneo. L’anima usciva dalla bocca e si dirigeva verso gli inferi.
L’oltretomba nel tempo è stato un concetto in divenire. Inizialmente si pensava che le anime rimanessero nei luoghi ad esse riservati, poi alcuni grandi filosofi cominciarono a parlare di reincarnazione. Prima di passare da una vita all’altra, sostenevano gli antichi maestri, gli spiriti dovevano lambire l’acqua del fiume Lete in modo da cancellare i ricordi della precedente esistenza.
Un cadavere non poteva esser lasciato in pasto a cani e uccelli rapaci. La mancata sepoltura era vista come una sorta di sciagura. Se un guerriero cadeva in battaglia i compagni mettevano a repentaglio la loro vita per recuperare il corpo. Lavato con cura, asperso con ramoscelli di origano e vite, massaggiato con unguento e balsamo, il cadavere era avvolto in morbida tela e posto su di un carro diretto verso la pira (il rogo). Seguivano la processione i cantori, gli amici e i parenti. Le donne della famiglia gemevano e piangevano intonando un lamento funebre. Consumate rapidamente dalla furia del fuoco le braci erano spente con vino. Raccolte e cosparse con grasso le ossa erano poste in un’urna, sigillata successivamente con lastroni di pietra adornate con corone di fiori, nastri e vasi. A volte era prevista anche l’inumazione senza il rogo.
Finito il rito funebre i presenti dovevano compiere riti di purificazione, per togliere l’impurità proveniente anche dalla semplice vista della salma. Dopo 3 giorni iniziavano le manifestazioni di cordoglio, che duravano dai 30 ai 150 giorni, durante le quali si svolgevano anche giochi pubblici. Vestiti di bianco o di nero, senza gioielli e cosmetici, con capelli sciolti o tagliati, i parenti si dirigevano verso il luogo della sepoltura (o verso un altare) per compire sacrifici in favore del defunto.
Il Tartaro, la zona più profonda dell’oltretomba, era destinato alle anime malvagie, e a coloro che osarono sfidare gli dei dell’Olimpo, come i titani.
Gli eroi, le anime sagge, i grandi maestri erano destinati ai Campi Elisi, un luogo di beatitudine. I morti insepolti erano invece destinati a vagare insoddisfatti in un luogo non ben definito, sperando che i vivi dessero sepoltura ai loro corpi.
Gli eroi, le anime sagge, i grandi maestri erano destinati ai Campi Elisi, un luogo di beatitudine. I morti insepolti erano invece destinati a vagare insoddisfatti in un luogo non ben definito, sperando che i vivi dessero sepoltura ai loro corpi.
L’Ade, situato in una zona non ben definita presso il paese dei Cimmeri, secondo la tradizione, accoglieva le anime dei defunti. Era solcato da 5 fiumi, Stige, Cocito, Acheronte, Flegetonte e Lete. Un feroce cane a tre teste presidiava l’ingresso. Cerbero impediva l’accesso ai vivi; solo le anime che avevano ricevuto sepoltura proseguivano il viaggio. Nelle zone più profonde, vicino al grande fiume Acheronte gonfio di acque, Caronte attendeva il suo tributo. Nelle cerimonie funebri si poneva sotto la lingua del defunto un obolo destinato al traghettatore infernale, il quale scortava l’anima all’altra sponda del fiume. Attraversato l’Acheronte le anime giungevano presso i tre Figli di Zeus. Maestosi e imponenti Minosse, Eaco e Radamando decretavano il verdetto finale. Destinando l’anima verso la sua condizione finale.
Commenti
Posta un commento