L’anima dei comandamenti
La responsabilità di fare il bene
In questo racconto evangelico il clima è di grave ostilità di alcuni uomini religiosi nei confronti di Gesù. Costoro vorrebbero imputargli la trasgressione del grande comandamento del sabato, e lo sorvegliano a questo scopo. E Gesù contesta a costoro un’obbedienza al comandamento che in realtà trascura, dimentica, o addirittura seppellisce il senso e il cuore stesso della Torah. Dunque la polemica è sull’osservanza della Torah, della parola di Dio ricevuta e trasmessa da Mosè.
Ma il contesto polemico non deve distrarci dal cuore di questa pericope, dalla verità e dalla bellezza di ciò che Gesù dice sulla Torah e che realizza guarendo un pover’uomo malato. L’intenzione ostile altrui diventa per Gesù l’occasione di un grande insegnamento sul senso della Torah, su ciò che più preme a Dio. Non dimentichiamo mai che il Vangelo è sempre per noi lezione, correzione e consolazione, e che dobbiamo accoglierle tutte e tre.
Il vangelo narra di un uomo con una mano paralizzata che è già presente nella sinagoga dove entra Gesù in giorno di sabato. E di alcuni scribi e farisei presenti che osservano Gesù per vedere se guarisce quell’uomo di sabato e avere di che accusarlo. Ma, anche a parte l’intenzione polemica specifica di questo episodio, tutti i vangeli sono percorsi da due domande retoriche opposte che qualcuno pone di fronte a Gesù: «Come può venire da Dio se non osserva la Legge?». E anche: «Come può non venire da Dio se compie segni e gesti potenti di amore?».
Qui il vangelo è impietoso nel denunciare chi, con la pretesa di difendere Dio e il suo diritto, ignora i bisognosi e condanna chi, operando il bene, sembra trasgredire un comandamento. Quegli uomini religiosi, infatti, non solo non patiscono con l’uomo malato ma lo usano come trappola per accusare gravemente di empietà Gesù, nel caso compia segni di compassione che sembrino infrangere la legge del sabato. E così l’uomo sofferente, il vero interesse di Dio, resta un emarginato, come se lo shalom del sabato non fosse anche per lui, mentre quegli uomini religiosi continuano a svuotare la Torah del suo significato primo, che è l’amore compassionevole e misericordioso di Dio per tutti, a cominciare dai più bisognosi.
Dall’insieme dei vangeli si vede che, nell’interpretazione di Gesù, la volontà di Dio espressa nei comandamenti è soprattutto a difesa dei più deboli, è il modo geniale di Dio di creare il diritto dei senza-diritto, dando a tutti gli altri il dovere di osservare i comandamenti corrispondenti. Per esempio: il sabato è anche e soprattutto un dovere del credente a favore di figli e figlie, di schiavi e schiave, degli animali e dei forestieri che lo aiutano nel lavoro e che si stancano per lui e con lui, creature che erano senza diritti.
Così il comandamento del sabato crea il loro diritto al riposo, perché il sabato sia spazio e profezia insieme di shalom, di vita consolata e salvata per tutti e tutte. Per questo Gesù, ridando la salute a quell’uomo, non trasgredisce il sabato ma lo adempie, testimoniando che la sollecitudine di Dio per gli esseri umani è vera sempre, che Dio continua a operare il bene in mezzo ai suoi anche di sabato. Perché è proprio per la gioia di tutti che Dio fece il giorno del sabato.
Gesù chiama quell’uomo malato a mettersi al cuore dell’assemblea santa, per indicare che il più debole è il più prezioso agli occhi di Dio, e pone a quei custodi della Torah la domanda: «È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o perderla?». Questa è una parola grandiosa che mette al centro l’intenzione salvifica del comandamento del sabato, e che fa vergognare le nostre casistiche religiose, che suonano sempre così: «È lecito? Non è lecito?». La responsabilità di fare il bene e di non fare il male, dice Gesù, ci appartiene sempre, e perciò l’amore verso il prossimo non contrasta con altri comandamenti, perché ne è l’anima.
Sorelle di Bose
(articolo tratto da www.osservatoreromano.va)
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